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Questo articolo è stato pubblicato il 07 marzo 2012 alle ore 07:00.

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L'export a caccia dei mercati perdutiL'export a caccia dei mercati perduti

«La nostra regione ha registrato un buonissimo andamento dell'export fino al terzo trimestre 2011, salvo poi rallentare. Il mercato italiano rimane fermo. L'export per noi rappresenta una cartina di tornasole: è l'esempio di come per quanto gli imprenditori veneti si siano dati da fare, rimboccandosi le maniche per uscire o almeno attenuare gli effetti della crisi in atto, tutto ciò non basti: perché il mercato interno non risponde. Infatti, la congiuntura dell'ultima parte dell'anno ha registrato una battuta di arresto».

Andrea Tomat, presidente di Confindustria Veneto, fa un'analisi impietosa della situazione industriale della regione, ma sottolinea con forza come i principali problemi restino due: gli investimenti per la crescita e il credito alle imprese. Intanto, però, mentre anche il commercio nel quarto trimestre del 2011 ha evidenziato un calo del 4,2 nelle vendite al dettaglio, il Veneto fa sempre più leva sul turismo: nel 2011 ha visto una crescita del 4,2% nelle presenze e dell'8,1 negli arrivi. «L'ultimo dato che fece gridare al boom - ricorda Tomat - risale al 2007, battuto dal 2011 che ha visto arrivare fra Laguna e città d'arte 63,5 milioni di persone, quasi 2 milioni in più del 2007». E spiccano, in questo successo, i 21 charter settimanali dalla Russia allo scalo di Verona (destinazione finale: le Dolomiti). «Continuiamo ad attraversare - aggiunge Tomat - le difficoltà che si manifestano da tempo nell'industria italiana, perché la nostra regione vive in un sistema Paese. È perciò necessario che il governo si renda conto che le risorse, quelle che ci sono, vanno riallocate tagliando magari a settori improduttivi, penso ai 30mila militari; rispetto al credito - sottolinea Tomat - le imprese pagano interessi fra il 4 e l'8% e le banche non possono farsi finanziare dalla Bce e poi non prestare soldi agli imprenditori».

La regione, che ha visto tanti, molti imprenditori arrivare al gesto estremo della disperazione, ha tuttavia i numeri e le potenzialità per uscirne. Infatti, il Pil del Veneto nel 2010 ha raggiunto i 117 miliardi circa nel 2011 (ultime stime di Unioncamere Veneto) con un aumento sul 2010 tra lo 0,5 e lo 0,7% per cento. Le esportazioni sono state pari a 37,5 miliardi tra gennaio e settembre 2011, in crescita del 12,4% sullo stesso periodo del 2010. Poi, è arrivata la brusca frenata del quarto trimestre: +1,4% le vendite Ue, +2,1% quelle extra-Ue (secondo l'indagine congiunturale Confindustria Veneto): troppo poco per sostenere il manifatturiero veneto. Che ora si lancia alla conquista di nuovi mercati: non solo l'immancabile Cina, ma anche il Centro America, il Sud America e persino l'Africa (nella fotografia di Veneto Promozione). Si va a caccia di nuovi mercati, quindi, per sopperire alla crisi della domanda interna italiana.

I più esposti al cambiamento sono, necessariamente, i segmenti che esportano di più: la meccanica (produce all'estero il 19% del suo fatturato), la moda (18%), mobili, gioielli e articoli sportivi (14%) e metallurgia (11%). Le imprese navigano a vista. Nella congiuntura al quarto trimestre 2011 della Fondazione NordEst il 40% degli intervistati lamenta una flessione dell'attività produttiva, mentre per il portafoglio ordini il peggioramento segue quello, già importante, della scorsa indagine: il 40,3% ha il lavoro assicurato per l'orizzonte di un solo mese. Troppo poco per programmare il futuro.

Per anni in Veneto si è dibattuto degli elementi di debolezza del sistema: le dimensioni, troppo piccole per proteggere in una competizione sempre più globale; la struttura patrimoniale fragile; una certa chiusura rispetto all'apporto di competenze esterne, manageriali o finanziarie. Individuata la malattia, se si vuole uscirne occorre correre ai ripari e cercare di sviluppare gli anticorpi. Anche perché la crisi non perdona, ma porta con sé anche spinte positive perché sta anche costringendo ad affrontare le questioni irrisolte.
Fra il 1997 e il 2010 sono cresciute significativamente le società di capitale, passate da 52.400 a quasi 109mila, ed è un processo che continua. Non una trasformazione da poco, per un Nord-Est partito da tipologie di impresa individuali o familiari.

In molti casi si nota una nuova concentrazione sul core business aziendale, dopo gli anni delle avventure - non sempre fortunate - in campi nuovi e differenti. Nuove forme di collaborazione e di aggregazione vengono sperimentate in campi che vanno dal calzaturiero alle energie rinnovabili, dall'aerospaziale ai servizi di ingegneria: è il caso delle reti d'impresa, che hanno superato in Veneto quota cinquanta, facendone una regione all'avanguardia.
«Tuttavia - conclude il presidente di Confindustria Veneto, Andrea Tomat - le decisioni da prendere sono tutte o quasi di natura politica. Qui in Veneto, ma soprattutto in Italia perchè è il mercato interno che conta, bisogna stabilire una volta per tutte se scegliere la via dello spreco, come accade in molte regioni, oppure scegliere la via virtuosa, quella che abbiamo cercato di seguire nella nostra regione».

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