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Questo articolo è stato pubblicato il 23 giugno 2010 alle ore 17:26.
Avvocato penalista, non ancora 48 anni, Giuseppe Mussari è sicuramente il più giovane tra i grandi banchieri italiani. Calabrese di nascita, dopo la maturità scientifica lascia la sua città, Catanzaro, per andare a frequentare l’università a Siena, città della madre. Brillante e determinato, il giovanissimo Mussari non passa le sue giornate chiuso nelle aule accademiche e nelle biblioteche. Il netto accento della terra d’origine, che mantiene anche dopo 30 anni di Toscana, non è un ostacolo. Crea contatti, stringe legami ed entra in politica. Dei senesi Mussari prende con il tempo almeno due vizi: i cavalli e il basket.
Nella città del Palio politica vuol dire sinistra, vuol dire Pci, Pds e Ds. Ed è alla politica, oltre che alle sue qualità professionali che già lo avevano portato a 38 anni alla presidenza della camera penale della città, che Mussari deve l’ingresso nel mondo bancario. Dalla porta principale. A cavallo del 2000 il prossimo presidente dell’Abi ha tra i suoi clienti anche i Ds senesi e ha ottimi rapporti con il sindaco Pierluigi Piccini, un ex dipendente del Monte dei Paschi di Siena, cresciuto più nella Cgil che nel partito. Si avvale delle sue consulenze legali anche il Comune di Siena.
All’inizio del 2001 Piccini è il candidato alla presidenza della Fondazione Mps, al posto di Giulio Sapelli, dopo la riforma della governance delle fondazioni di origine bancaria che affida alle istituzioni territoriali la nomina dei vertici di ciascun ente. La riforma fissa alcuni paletti e incompatibilità a cui però il ministro dell’epoca Vincenzo Visco (Ds) ne aggiunge una che i maligni considerarono ‘ad personam’: il divieto, cioè, per chi ha fatto parte di un organo che concorre alla formazione di una fondazione di essere nominato prima di un anno al vertice della stessa fondazione.
Il Comune nomina la metà dei consiglieri del Monte e la norma sembra fatta apposta per tener fuori Piccini da palazzo Sansedoni, sede della fondazione. Si scatena un putiferio a livello nazionale, che ha il sapore di un regolamento di conti tutto interno ai Ds. La clausola voluta da Visco ha una sua logica non solo formale: nel caso del Monte, Piccini come sindaco avrebbe contribuito a nominare se stesso alla presidenza dell’ente. Non è stato mai chiarito, però, se l’ex ministro avesse altre motivazioni, oltre a quella di eliminare un innegabile conflitto di interessi.