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Finanza e Mercati In primo piano

Ecco i titoli da comprare (per gli analisti) con lo yuan flessibile

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Questo articolo è stato pubblicato il 24 giugno 2010 alle ore 20:02.

Tecnologie. Lusso. Sanità. Materie prime. Il mix del portafoglio azionario da costruire in risposta alla decisione del governo di Pechino di sganciare, dopo quasi due anni di arrocco, lo yuan dal dollaro è chiaro. Almeno secondo gli analisti di Credit Suisse che in un report ipotizzano che nei prossimi 12 mesi la valuta cinese si apprezzerà del 5% sul biglietto verde. Non molto, ma quanto basta per movimentare i bilanci di alcune società il cui giro d'affari è collegato al mercato cinese. Non distante la previsione di Li Daokui, consigliere della Banca centrale di Cina, secondo cui lo yuan salirà di circa il 3% contro il dollaro nel 2010.

I settori a leva sulla rivalutazione dello yuan. Più nel dettaglio, la flessibilità dello yuan impatterà positivamente sui bilanci (e di conseguenza sulle quotazioni azionarie) delle società ad alto tasso di esportazione in Asia (da cui arriva un terzo della domanda mondiale di personal computer). Le big tecnologiche quindi. Allo stesso tempo saranno agevolate le società che vendono beni di lusso in Cina, in vista di un atteso aumento del potere d'acquisto dei consumatori locali. E poi, ancora, le società farmaceutiche esposte in Asia e gli esportatori di materie prime verso la Cina, dato che ci si aspetta una domanda di commodities in rialzo. E, infine, con uno yuan più forte c'è più luce anche sulle compagnie che detengono in pancia una forte componente di debito pesata in dollari. Insomma, il calderone è variegato. Vediamo, quali sono i titoli preferiti dagli analisti della banca d'affari svizzera.

I titoli buy. Tra le società tecnologiche la raccomandazione buy di Credit Suisse cade su Asml, Intel, Texas instrumentes, Qualcomm e Motorola, ovvero società che hanno sede in mercati sviluppati ed esportano molto in Cina. Il vantaggio competitivo che la scelta del governo di Pechino offre indirettamente a questo gruppo di aziende è di poter vendere in una valuta (lo yuan) che (molto probabilmente) si apprezzerà e di produrre (e quindi generare costi) in una valuta (il dollaro) che (molto probabilmente) si deprezzerà. Ancor più avvantaggiate – si apprende leggendo il report – le società specializzate nel comparto del lusso. Queste – in particolare Lvmh, Swatch – oltre a beneficiare degli effetti legati al cambio potranno trarre vantaggio dalle aspettative di crescita della domanda interna cinese, una conseguenza questa, appunto, della rivalutazione attesa dello yuan. E poi ci sono le società farmaceutiche con una ampia esposizione in Asia. Tra queste Credit Suisse segnala Brystol e Myers Squibb. «Da comprare» anche i big delle materie prime che sono al varco di un aumento della domanda di commodities da parte della locomotiva cinese. Nella top list ci sono Freeport, McMoran e Xstrata.

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Favoriti anche alcuni titoli che giocano in casa. Non solo compagnie estere. Tra le favorite ci sono anche alcune società locali. In particolare quelle che importano materie prime grezze (che pagano in dollari) e rivendono in casa prodotti finiti (in yuan) come Maanshan Iron&Steel e Sinopec. Tra le società che giocano in casa e che potrebbero giovare di uno yuan più forte ci sono anche quelle che detengono in pancia una forte esposizione debitoria denominata in dollari. È il caso, questo, della compagnia aerea di bandiera, Air China.

Una decisione politica. Ma quale è stata la motivazione di fondo che avrebbe spinto le autorità di Pechino a sganciare lo yuan dal dollaro, fermo sullo soglia di 6,83 dal luglio 2008? Secondo gli analisti di Credit Suisse (ma è anche questa l'opinione condivisa dai maggiori economisti) si tratta di una decisione politica. Arrivata, non a caso, in prossimità del G20 (che si svolgerà il 26-27 giugno a Toronto), nel corso del quale il governo di Pechino mira probabilmente a placare le dispute con quella frangia di paesi, guidata dagli Stati Uniti, che hanno più volte minacciato un blocco degli scambi commerciali nel caso la Cina non avesse provveduto a rivalutare lo yuan. Proprio perché uno yuan debole causa uno sleale vantaggio competitivo a favore delle società cinesi, indubbiamente agevolate in quella che negli ultimi anni è stata la loro arma più forte: le esportazioni.

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