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Lo yuan ai massimi sul dollaro

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Questo articolo è stato pubblicato il 22 giugno 2010 alle ore 08:01.

Lo yuan inaugura col botto la fase due della riforma valutaria cinese. Ieri, alla ripresa delle contrattazioni dopo l'annuncio di sabato sera con cui la People's Bank of China aveva promesso lo sganciamento del renminbi dal dollaro, la moneta del Dragone ha toccato il livello più alto sul biglietto verde Usa dal luglio 2005.

Ma il rientro dello yuan sul mercato, dopo quasi due anni di assenza vissuti in stretta simbiosi con il dollaro, è stato incerto e convulso. In apertura di contrattazioni gli operatori sono rimasti subito perplessi nel vedere la banda di oscillazione invariata rispetto a venerdì scorso. Sulla scorta dell'annuncio di sabato, infatti, i cambisti si aspettavano che la banca centrale inviasse un esplicito segnale alzando il livello della parità centrale (il valore fissato quotidianamente dalla Pboc da cui il cambio dello yuan può scostarsi in un range compreso tra -0,5 e +0,5 per cento).

La Pboc, invece, ha deciso di inviare un segnale diverso, ma per certi aspetti ancora più forte e convincente, astenendosi dall'intervenire nelle contrattazioni e lasciando la moneta alle forze di mercato. La fluttuazione libera ha consentito al renminbi di archiviare la giornata con un aumento dello 0,42% sul dollaro (6,7976 la quotazione in chiusura), che equivale al maggior apprezzamento nella breve storia nelle negoziazioni valutarie cinesi.

Una storia iniziata cinque anni fa quando, dopo aver tenuto ancorato il valore dello yuan a quello del dollaro per oltre dieci anni, la Cina decise di riformare il proprio sistema di cambio. L'operazione si articolò in tre mosse: rivalutazione secca del 2,1% sulla moneta americana; sganciamento del renminbi dal biglietto verde Usa; nuovo ancoraggio dello yuan a un paniere valutario di cui Pechino non ha mai svelato la composizione.

Da allora fino all'agosto del 2008 il renminbi si è apprezzato del 21% nei confronti del dollaro. Poi la marcia della moneta cinese si è improvvisamente arrestata perché, per sostenere le sue esportazioni in caduta libera, due anni fa il Dragone ha congelato le oscillazioni quotidiane dello yuan riagganciandolo di fatto al dollaro. Così, da quel momento fino a oggi, con grande e crescente disappunto degli Stati Uniti, la quotazione del renminbi sulla moneta americana è rimasta inchiodata a quota 6,8.

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Tags Correlati: Amministrazione Obama | Cina | Mercato dei cambi | Pboc | People's Bank of China |

 

Ora che l'economia cinese si è completamente ripresa dalla crisi e che le esportazioni hanno ripreso a tirare, la riforma del meccanismo di cambio iniziata nel luglio 2005 può ripartire. Per andare dove? Se lo chiedono tutti coloro che si ritrovano investiti dalla svolta decretata da Pechino: dall'Amministrazione Obama ai consumatori europei, dai trader globali di materie prime alle aziende che esportano di beni di consumo oltre la Grande Muraglia.

Distillando il fiume di pareri e commenti pubblicati ieri a caldo sulla questione, le dinamiche future dello yuan saranno condizionate principalmente da tre fattori. Il primo è il quadro macroeconomico internazionale. Sotto questo profilo, vista la forza della congiuntura cinese tornata in grande spolvero dopo i malesseri accusati nella prima parte del 2009, la tempistica del depegging è perfetta. Ciononostante, avvertono gli analisti, dopo le fiammate iniziali attese in questi primi giorni, la rivalutazione sul dollaro sarà contenuta (le stime prevedono tra l'1,5 e il 3% entro fine 2010).

Il secondo fattore è lo stato di salute dell'area euro. Da metà maggio a oggi lo yuan si è già apprezzato del 14% sulla moneta unica. Se si considera che l'Unione Europea è il primo partner commerciale di Pechino (assorbe il 25% dell'export cinese), è facile intuire gli effetti devastanti di un'ulteriore discesa dell'euro sul made in China. È ovvio che, se la moneta unica dovesse mostrare altri pesanti cedimenti nei confronti del dollaro, la Pboc si troverebbe costretta a tirare le briglie dello yuan.

Il terzo fattore è l'andamento dell'export cinese. «La bilancia dei pagamenti è l'elemento chiave per determinare il tasso di cambio del renminbi», ha avvertito ieri il ministero del Commercio cinese, che in questi mesi ha ostacolato in ogni modo lo sganciamento dello yuan dal dollaro. Il messaggio per il mondo politico interno ed esterno è chiaro: se le esportazioni dovessero tornare a segnare il passo, il renminbi sarebbe subito obbligato a rientrare nei ranghi.

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