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Finanza e Mercati In primo piano

Via libera alla riforma di Wall Street. Spunta tassa da 19 miliardi ma sugli hedge pochi vincoli alle banche

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Questo articolo è stato pubblicato il 25 giugno 2010 alle ore 12:40.

Ci sono voluti più di due anni dall'esplosione della crisi finanziaria. Alla fine, però, i due rami del parlamento americano hanno raggiunto l'intesa sulla riforma della finanza di Wall Street. Dopo una maratona di ben 20 ore la commissione mista Camera-Senato ha trovato l'accordo sui punti principali del Financial Bill. Ora la strada per il via libera finale da parte del Congresso Usa la prossima settimana appare, salvo clamorosi colpi di scena, spianata.

Si dirà, anzi molti lo hanno già fatto in passato, che è una normativa all'acqua di "rose". La stessa reazione dei titoli bancari Usa, moderatamente positiva, sembra confermarlo. Ma tant'è, a fronte di un' Europa che continua a dividersi sulle proposte da concretizzare, il presidente Barack Obama («Wall Street - ha detto - ora sarà più responsabile») può adesso presentarsi all'appuntamento del G20 con un risultato concreto in mano.

Divieto di proprietary trading e la newco per i derivati
Nelle linee essenziali, la riforma è quella già nota: una normativa su cui la vecchia volpe Paul Volcker, presidente della Federal reserve americana prima dell'era Greenspan, può a ben diritto mettere la sua firma.

La Commissione Camera-Senato ha dato il suo ok alla restrizione del "proprietary trading": la regola, denominata proprio Volcker rule, restringe la possibilità delle banche di usare i depositi assicurati da fondi federali per la compravendita di asset a loro esclusivo vantaggio. Una scelta duramente osteggiata dalle investment bank di Wall Street che hanno visto in questo passaggio l'incursione in una delle attività per loro più redditizie.

Inoltre, è stata approvata la richiesta di far "trasmigrare" le attività dei derivati in società separate dalle banche: in questo modo il business che tanti dolori ha procurato al sistema viene "confinato" in newco apposite che potranno, se del caso, essere fatte fallire. Viene evitato, così, il coinvolgimento della casa-madre e si limita il conseguente rischio di sistema. «Il primo obiettivo di queste norme - commenta Christopher Dodd, il senatore democratico gran tessitore della riforma - è di ridurre la partecipazione in attività altamente richiose da parte di quelle istituzioni finanziarie che sono "centrali" al sistema; il secondo è di porre un deciso stop all'utilizzo di fondi a basso rischio, assicurati dal Governo, per attività altamente speculative». Come dire insomma, basta usare i fondi di Mr e Mrs Smith per guadagnare con il trading e elargire bonus ai responsabili di queste business unit. Quei denari, quei depositi devono essere usati per investire nell'economia reale e non in quella di carta di Wall Street.

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Un operatore di Wall Steet (Ap)

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Minori limiti all'investimento in hedge fund e private equity
Di più. L'accordo nella commissione Camera-Senato prevede il limite del 3% di investimenti di capitale in hedge fund o private equity. Una mossa indirizzata a "normalizzare" l'attività delle banche verso più tranquilli core-business. In alcuni casi, infatti, le partecipazioni troppo alte in fondi speculativi, unite all'uso folle della leva, avevano trasformato i tradizionali istituti finanziari in hedge fund puri. A ben vedere, però, su questo fronte è stata fatta la maggiore concessione alle big bank di Wall Street. Da un lato, infatti, una delle prime stesure della riforma parlava del divieto di investire negli hedge; dall'altro, il tetto massimo cui tutti pensavano era del 2 per cento. In questa situazione, quindi, i gruppi finanziari non dovranno più fare lo spinoff di questi businnes ma semplicemente ridurre l'esposizione. Citigroup, per esempio, dovrebbe scendere dai 5 miliardi impegnati in passato a circa 3,5 miliardi.

Una tassa da 19 miliardi di dollari sulle banche
Forse, anche in un'ottica un po' populista, proprio per controbilanciare la non indifferente concessione realizzata sul fronte degli hedge, la commissione Senato-Camera ha votato a sopresa anche una tassa da 19 miliardi di dollari sull'industria bancaria. Si tratta di un balzello che i Repubblicani indicano come ingiusto. Ma i Democratici lo hanno giustificato, richiamandosi ai costi della riforma stessa. Barney Frank, presidente della commissione, ha specificato che: «le banche con più di 50 miliardi in asset e gli hedge fund con più di 10 miliardi potrebbero essere i soggetti tassati». Bisognerà vedere in che modi e in che tempi...

I broker nell'interesse dell'investitore...
Ma non sono solo balzelli. Tra le indicazioni approvate dai rappresentati delle due camere del Parlamento, c'è quella che concede alla Sec (la Consob americana) il potere di chiedere al broker di proteggere l'interesse dell'investitore quando lo stesso operatore dà dei consigli . Di fatto, si tratta di una sorta di dovere simile a quello già in capo ai consulenti finanziari.

...e il Bureau in difesa del consumatore
Sempre in un'ottica di difesa del consumatore è stata, poi, prevista l'istituzione del Consumer Financial Protection Bureau: si tratta di un'agenzia, istituita presso la Federal reserve che dovrà svolgere una funzione di vigilanza sugli abusi realizzati ai danni del retail attraverso i prodotti finanziari.

Il Financial council per evitare il rischio di sistema
Senza dimenticare, infine, la creazione del Financial Stability Oversight Council, un super regulator che dovrà controllare le più grandi banche di Wall Street per evitare e ridurre il rischio di sistema. Un'istituzione che sarà guidata dal ministero del Tesoro e che vedrà il coinvolgimento anche degli uffici di altre agenzie governative.

Una battaglia non semplice
Fin qui gli elementi essenziali della riforma. Una normativa che potrà anche non soddisfare ma che, non può negarsi, è stata oggetto di una durissima battaglia da parte delle lobby di Wall Street che in tutti i modi hanno tentato di ostacolarne l'approvazione e di annacquarne i contenuti. Un pressing che ha comunque prodotto i suoi risultati.

Le concessioni alle lobby di Wall Street
Al di là del tema degli hedge fund, basta ricordare come la proposta sui derivati da parte della senatrice Blanche Lincoln, presidente della Commissione agricoltura del Senato, prevedesse il bando dell'attività sui derivati per le banche. Un'idea estrema che aveva trovato una fortissima opposizione nel Parlamento stesso: un gruppo di centristi democratici fino all'ultimo ha minacciato di astenersi dal voto, se le indicazioni della Lincoln non fossero finite in soffitta. Ovviamente così è stato, per buona pace dei lobbisti e dei banchieri.

Alla fine una finta-riforma? La critica pare eccessiva. Si potranno sottolineare i molti punti deboli; si potranno rilevare le troppe eccezioni e un'attenta analisi rileverà l'eccessiva "connessione" dell'entourage economico di Obama con Wall Street. Ma una cosa è innegabile: gli Stati Uniti, da dove è partita la grande crisi, hanno finalmente trasformato le troppe chiacchere in realtà, dando vita all'accordo sulla nuova legge che, salvo colpi di scena imprevedibili, sarà approvata dal Congresso. In Europa, invece, si continua a solo a discutere tra chi ha le idee migliori e a mandare lettere congiunte. Con l'eccezione del nuovo governo inglese che ha deciso l'imposizione di una tassa sulle banche. Passare dalle parole ai fatti è sempre e comunque una buona cosa.

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