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Dopo l'Europa lo stress è sulle banche cinesi: prestiti a rischio per 300 miliardi di dollari

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Questo articolo è stato pubblicato il 27 luglio 2010 alle ore 15:18.

In questo periodo di minor stress per le banche, almeno così dovrebbe essere dopo la pubblicazione dei test in Europa, lo sguardo corre al Far East. Precisamente in quella Beijing, ormai irriconoscibile anche alla stessa Angela Terzani Staude, dove il capitalismo di regime sembra non conoscere sosta. Ebbene, proprio di recente, dallo smog della megalopoli sono filtrati alcuni numeri interessanti sullo stato di salute delle banche del Dragone.

Com'è noto, a causa dei limiti imposti ai governi locali nei prestiti diretti dagli istituti finanziari, la raccolta di fondi fuori bilancio è letteralmente esplosa, diventando una delle principali vie al finanziamento della crescita economica cinese. Secondo la China Banking Regulatory Commission, questi prestiti alla fine di giugno ammontavano a 1,13 trilioni di dollari.

I prestiti a rischio
Una cifra non da poco che, ovviamente, desta qualche preoccupazione. È, infatti, abbastanza semplice ipotizzare che simili denari, fuori bilancio, possano essere investiti in operazioni con uno scarso ritorno; oppure non essere sostenuti da una adeguata garanzia in caso di fallimento dell'operazione per cui sono usati. Secondo una fonte, citata dall'agenzia Dow Jones, circa il 20% di questi presititi, cioè circa 230 miliardi di dollari, potrebbero rientrare nella categoria dei "loan" ad alto rischio.

La cifra in valore assoluto, di per sé, non è tale da destare preoccupazioni di sistema. Tuttavia mostra come, in generale, i dati in arrivo da Beijing siano sempre parziali e sottovalutino i problemi. Proprio alla fine di giugno i numeri ufficiali dei "non performing loan" detenuti dalle banche commercaili cinesi indicavano un valore di soli 67 miliardi di dollari, l'1,3% del totale degli asset.

Ma, evidentemente, a questa cifra debbono aggiungersi almeno anche i 230 miliardi dei prestiti a rischio fuori bilancio indicati in precedenza, arrivando così a 307 miliardi di dollari. Un numero che impone al sistema bancario cinese di fare degli aggiustamento ai proprio portafoglio crediti.

Gli stress test alla cinese
L'operazione pulizia, peraltro, sembra essere stata avviata, almeno a parole. Proprio domenica scorsa l'Economic Observer, uno dei tre più grandi giornali economico-finanziari cinesi, ha scritto che la China banking regulatory commission sta conducendo una serie di stress test sui fondi di investimento immobiliari nazionali per verificare se sono in grado di reggere uno scenario di forte crisi e di recessione del comparto immobiliare. E non solo. I test sono stati estesi anche alle banche cinesi alle quali il regulator di Beijing ha chiesto di tenere sotto controllo l'esposizione nel settore immobiliare. Quel real estate su cui, da un po' di tempo, si dibatte rispetto alla possibilità di uno scoppio di una bolla.

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Anche la Cina ricorre agli stress test. Sotto esame il settore immobiliare

Dopo gli Stati Uniti e l'Europa anche la Cina sperimenta la via degli stress test. Sotto esame il

Tags Correlati: Angela Terzani Staude | Basilea | China Banking Regulatory Commission | Europa | Pechino | Sanità |

 

Basilea III, un vero spauracchio?
Tornando sul fronte Occidentale, da rilevare la reazione positiva del settore bancario all'annuncio dell'accordo di massima su Basilea III. Un prgramma, non siglato dalla sola Germania, che dovrà poi essere votato e definito dal G20 di Seul in settembre .

Il compromesso siglato ridimensiona alcune delle proposte contenute nella bozza del dicembre scorso che avevano suscitato forti riserve da parte di tutto il mondo
bancario. Il testo prevede tempi più lunghi per l'entrata in vigore delle norme e ha accantonato, almeno per ora, il concetto di "net stable funding ratio", una norma che, con l'obiettivo di assicurare una base di capitale stabile nel lungo termine agli istituti, avrebbe richiesto alle banche di trovare circa 4mila miliardi di euro in nuove risorse, secondo analisti del settore.

Fra gli emendamenti approvati anche quelli relativi alla definizione di capitale Tier1: varranno regole meno severe. Nel coefficiente potranno essere conteggiate le partecipazioni di minoranza in altre banche e, in parte, anche i fondi propri delle filiali assicurative, una modifica questa che avvantaggia soprattutto le banche mutualiste francesi.

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