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Questo articolo è stato pubblicato il 29 luglio 2010 alle ore 09:09.
L'ultima modifica è del 29 luglio 2010 alle ore 08:00.
Al telefono parlavano di bonifici personali da 20 milioni di euro. Contrattavano l'acquisto in contanti di un appartamento a Montecarlo. Ma contemporaneamente non riuscivano a trovare 50 milioni di euro per salvare la loro creatura: il gruppo di moda Mariella Burani. È così che ieri mattina la Guardia di Finanza ha arrestato Walter Burani (a cui sono stati concessi i domiciliari) e suo figlio Giovanni. L'accusa mossa dai Pm Luigi Orsi e Mauro Clerici è di bancarotta fraudolenta continuata e aggravata.
Ma l'arresto è motivato dal Gip Fabrizio D'Arcangelo con il pericolo di reiterazione del reato: padre e figlio hanno infatti ancora cariche in molte aziende e, dato il «carattere abituale e sistematico delle condotte criminose accertate», c'era a suo avviso il rischio che ripetessero i reati. Ma ora l'indagine riparte proprio da quelle telefonate intercettate: gli inquirenti sono infatti convinti che i Burani abbiano «disponibilità patrimoniali» all'estero. Insomma: gli indizi indicano un "tesoretto" nascosto. Presto partiranno le rogatorie, per alzare il velo sul maggiore crack al Tribunale di Milano dai tempi del Banco Ambrosiano.
A questo colpo di scena si arriva dopo una lunga indagine, fatta di perizie tecniche e documenti. L'inchiesta ha infatti passato al setaccio decine di operazioni finanziarie. E, alla fine, è giunta a una conclusione chiara: molte operazioni servivano solo per far apparire il gruppo più solido, per gonfiare fittiziamente i bilanci e il valore delle azioni, bruciando in realtà le disponibilità liquide delle società. Il Gip parla nella sua ordinanza più volte di «operazioni dissipatorie» del patrimonio della holding Bdh, della controllata Mariella Burani Family Holding (Mbfh) e della quotata Mariella Burani Fashion Group (Mbfg). Tre società finite in fallimento.
Alcune operazioni servivano per gonfiare i ricavi. Per esempio la cessione di molti marchi (da "Amuleti" a Mariella De, fino ad alcune azioni Antichi Pellettieri). Non esiste infatti bilancio o relazione semestrale tra il 2007 e il 2008 in cui – secondo l'accusa – Mbfg non abbia riportato ricavi o plusvalenze «frutto di operazioni fittizie». Con questi numeri gonfiati, si arriva al vero nocciolo dell'inchiesta: l'Opa che a metà del 2008 Mariella Burani Family Holding lancia sulla controllata Mariella Burani Fashion Group (quotata in Borsa).