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Finanza e Mercati In primo piano

Anche i paradisi fiscali soffrono la crisi: i depositi esteri scendono a 1.000 miliardi di dollari

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Questo articolo è stato pubblicato il 04 agosto 2010 alle ore 16:27.

I banchieri delle Bahamas piangono un po'. Insieme, forse, ai colleghi dell'Isola di Man o di Macao. Certamente, ne siamo certi, se ne faranno una ragione: il trend, nella finanza globalizzata, si riprenderà. Intanto, però, a dar retta alle tabelle della Bank of international settlement (Bis) i depositi delle banche straniere nelle Barbados di turno, negli ultimi tempi, sono diminuiti: dal recordi di 1.200 miliardi di dollari nel 2008, sono scesi a 1.000 miliardi a fine 2009.

Una diminuzione che, tuttavia, non scalfisce l'importanza dei paesi off-shore nelle strategie delle istituzioni finanziare di tutto il mondo. E per rendersene conto basta dare un'occhiata all'andamento dei depositi stranieri in questi stati: fino al 2002 il loro ammontare non eccedeva i 200 miliardi di dollari; la cifra è via via cresciuta, subendo una bella accellerazione tra il 2006 e il 2008, anno in cui è stato raggiunto il top.

Un trend che è andato di pari passo con la globalizzazione e l'internazionalizzazione delle banche. Sotto questo aspetto i prestiti cross-border, cioè tra paesi diversi, sono l'indicatore del processo in corso. «Fino all'inizio del millenio - scrive la Bis - la percentuale dei crediti transfrontalieri, rispetto al Pil mondiale, aumentava gradualmente: il 4% circa. Poi c'è stata un'impennata a metà del decennio concluso, raggiungendo a fine dello scorso anno oltre il 60% del Pil globale». Una cifra non da poco.

Il Vecchio Continente maggiore debitore transfrontaliero
Fin qui l'evoluzione dei crediti e debiti internazionali. Ma quale il loro "identikit"? Secondo la Bis, l'Europa Occidentale è la destinazione principale nell'attività dei prestiti trasfontalieri. Negli anni ottanta i debitori del Vecchio Continente rappresentavano meno del 50% del totale dei prestiti cross-border; molto limitata la quota dei paesi in via di sviluppo, così come quella degli Stati Uniti. Il "peso" dei "borrowers" europei è, poi, andato crescendo (con l'eccezione degli anni '90) , per andare ben oltre il 50% nel secondo trimestre del 2009.

L'arbritaggio regolamentare
Al di là del tema dei prestiti "cross border", il tema dei paradisi fiscali rimane di estrema attualità. Anche perché la (giusta) rischiesta di più rigide regolamentazioni per il sistema finanziario può creare squilibri a favore di chi queste norme non le vuole. È il caso, per esempio, di Singapore dove la Banca centrale ha detto che i «piccoli hedge fund potranno operare senza il bisogno di alcuna licenza». La mossa è chiara: favorire la nascita di società finanziarie nel momento in cui sia a Londra sia a New York si pretende maggiore trasparenza e più regole. Il risultato sembra essere già stato raggiunto: sette nuovi hedge sono sulla rampa di lancio pronti a dare il via alle loro operazioni. E altri ne verranno, è il commento di molti. «Singapore non si è voluta suicidare - ha commentato Kher Sheng Lee, esperto di diritto finanziario dello studio internazionale Dechert in Hong Kong- Mentre in altre parti del mondo ci si muove verso una stretta regolamentare, qui la parola d'ordine è flessibilità».

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