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Questo articolo è stato pubblicato il 26 agosto 2010 alle ore 09:09.
Un investitore offre 76 dollari per un'azione di Facebook. Siamo ancora ai primi di maggio e il «luogo» è il mercato secondario SharesPost, dedicato a trattare proprio transazioni sui titoli di società non quotate come la regina dei social network. Non era dato saperlo allora, ma quell'investitore avrebbe fatto trend: buona parte delle offerte, una decina, quattro mesi or sono era a 50 dollari per titolo. Che già facevano scalpore, perchè suggerivano un valore di 22 miliardi per l'azienda, raddoppiato da marzo. Adesso, a fine estate, compravendite sono state tuttavia orchestrate a 76 dollari sulle piazze online specializzate nelle «private company» quali SharesPost e SecondMarket. Facendo lievitare l'ipotetico valore di Facebook a quasi 34 miliardi.
L'impennata va presa con cautela: è estrapolata da scambi limitati, anzi limitatissimi, lontani dal pubblico e dalla trasparenza sui criteri adottati per arrivare ai prezzi. Le società non quotate americane, stando alle regole, devono avere meno di 500 azionisti (Facebook ne avrebbe molti meno). A vendere sono loro, qualche venture capitalist, o angel investor, o dipendenti e ex dipendenti dietro il permesso della società, spiegano a SecondMarket. I compratori, continuano, sono investitori selezionati, istituzionali o «accreditati» dalle autorità, ovvero con asset superiori al milione.
La corsa di Facebook, di sicuro, ha numerosi sostenitori: la rivista Fortune ha ipotizzato che possa valicare la soglia dei 50 miliardi per poi puntare a 150 miliardi. Anche, però, tanti detrattori: sempre Fortune ammette un dilemma cruciale per il futuro del gruppo, come far rendere, in pubblicità o altri introiti, i 500 milioni di utenti. Questi aumentano a ritmo vertiginoso, mentre le entrate per utente languono pur se le revenue paiono destinate a raddoppiare quest'anno a 1,4 miliardi.
La recente marcia, più che riflettere il dibattito sui modelli di business del gruppo, potrebbe così portare alla luce un'altra realtà: il volatile clima tra gli investitori, presi tra paura e speranze di rilanci. E l'emergere di nuovi canali - o rivoli - di scambio davanti alle tensioni sui grandi mercati e nell'economia che hanno paralizzato molti collocamenti azionari (40 solo a Wall Street da inizio d'anno). I ritardi interessano più d'una firma hi-tech, Twitter, LinkedIn, Zynga. E la stessa Facebook, pur se le voci sui tempi della sua initial public offering si rincorrono ormai con la frenesia delle cifre sulla sua valutazione. La società potrebbe attendere almeno il 2012 per sbarcare in Borsa, oltre che in cerca di miglior congiuntura per permettere al fondatore e amministratore delegato, il 26enne Mark Zuckerberg, di guadagnare in esperienza, superare serie polemiche sulla privacy degli utenti e consolidare la crescita davanti a nuovi concorrenti (Twitter).