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Questo articolo è stato pubblicato il 26 agosto 2010 alle ore 08:00.
Se le foto su Facebook sono accessibili a una comunità ampia (i cosiddetti "amici degli amici"), niente vieta che ne possa venire a conoscenza pure il datore di lavoro. E che quest'ultimo arrivi a prendere decisioni anche drastiche, come il licenziamento del dipendente che ha pubblicato sul social network proprie fotografie scattate in azienda, con sullo sfondo disegni – a detta dei vertici della società – coperti da segreto industriale.
La questione è finita di recente davanti al Garante della privacy. Il lavoratore lamentava, infatti, la violazione della propria riservatezza da parte dell'azienda, colpevole di aver acquisito in modo illecito le fotografie e di averle utilizzate senza il consenso dell'interessato. Il dipendente sosteneva che le foto fossero state pubblicate sul proprio profilo chiuso di Facebook e, pertanto, accessibili a una cerchia ristretta di utenti, tra i quali non rientrava il datore di lavoro.
Di contro, quest'ultimo ha argomentato che la possibilità di consultare le foto era consentita non solo ai contatti scelti dal dipendente (i cosiddetti "amici"), ma a una comunità più vasta, quella che nel linguaggio dei social network sono "gli amici degli amici". E una cerchia di tale tipo – ha sottolineato l'azienda – è indeterminabile, perché ognuno può coinvolgere chi vuole.
L'Autorità ha accolto le argomentazioni dell'azienda e ha, dunque, riconosciuto che le foto sono state acquisite in modo regolare. Secondo il Garante, cioè, non c'è stata alcuna violazione del codice della privacy e tanto meno si può sostenere che il datore di lavoro abbia utilizzato strumenti che possono realizzare un controllo del lavoratore.
L'Authority non è andata oltre. Non si è, cioè, soffermata sul fatto se il conseguente licenziamento sia legittimo o meno. Anche perché il modo in cui le fotografie sono state utilizzate diventa materia di diritto del lavoro e al riguardo non ci sono, almeno da noi, precedenti.
Diversamente da quanto, invece, si è verificato in Gran Bretagna e in Germania. E proprio la Germania sta per dotarsi di un sistema di regole che, tra l'altro, vieta l'uso nei colloqui di lavoro dei dati raccolti sui social network.
«Novità – commenta Francesco Pizzetti, presidente del Garante della privacy – che presentano profili problematici. Ne eravamo informati, perché sulla bozza di legge c'erano stati diversi rilievi da parte dell'Autorità della privacy tedesca, poiché le nuove regole consentono di controllare a distanza i lavoratori, di sottoporli a riprese video, di ispezionare le mail aziendali. Interventi che da noi lo statuto dei lavoratori vieta a meno che non esista un accordo tra impresa e sindacati o, in alcuni casi, non ci sia l'autorizzazione del Garante».