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Questo articolo è stato pubblicato il 19 ottobre 2010 alle ore 07:45.
La parola d'ordine è contenere i costi. Il nuovo accordo di Basilea 3, seppure applicato in modo tanto graduale da prevenire istantanei shock, cambia gli scenari a lungo termine per gli istituti di credito europei. Non tutte le banche, non tutte allo stesso modo, dovranno affrontare la necessità di aumentare la propria patrimonializzazione.
Secondo un'analisi di Keefe, Bruyette and Woods (Kbw), tra le banche italiane più esposte ai contraccolpi di Basilea 3 ci sono Monte dei Paschi e Banco Popolare. Le simulazioni che misurano la distanza del patrimonio di vigilanza attuale dai requisiti patrimoniali attesi al 2012 prevedono la necessità di iniezioni di capitale rispettivamente pari a 4,63 e 3 miliardi. Come dire un apporto dell'84 e del 41% dei rispettivi equity Tier 1. Apporto ridotto al 18% (ma si tratta pur sempre di 4,89 miliardi) per Intesa Sanpaolo, al 10% per UniCredit (4,06 miliardi, al 6% per Ubi (450 milioni circa), sino al minuscolo 2% (32 milioni) del Credem. Mps e Banco Popolare, secondo l'analisi, potrebbero dover ridurre drasticamente la distribuzione di dividendi per anni, o chiedere agli azionisti di metter mano al portafoglio, finanziando aumenti di capitale.
Ma gli azionisti, che hanno già visto la redditività calare in modo drastico per effetto della crisi finanziaria e della recessione, non sembrano per niente disposti a ulteriori riduzioni dei dividendi: anzi, chiedono un aumento dei payout. L'unica leva a disposizione del management, in assenza di un marcato rialzo dei tassi che ridìa ossigeno ai margini, e senza alcuna previsione che indichi alle viste una forte ripresa economica che porti ad accelerare la dinamica degli impieghi, è la compressione dei costi. Tutti i costi e, in particolare, quelli operativi. Compreso, ovviamente, quello del lavoro.Costi operativi che, nelle previsioni l'Abi, nel 2010-12 in Italia non dovrebbero avere dinamiche esplosive. Anzi, potrebbero segnare una evoluzione molto contenuta. Il punto nodale, come ha spiegato Francesco Micheli, dall'estate tornato alla guida del Comitato affari sindacali e lavoro (Casl) dell'Abi, è l'attenzione al cost/income, che misura l'indicenza dei costi sui ricavi.
Non tutte le banche hanno realizzato efficienze analoghe. Sempre secondo Kbw, nei principali gruppi quotati italiani la media del cost/income 2009 era del 57%, mentre il costo del personale era pari al 34% dei ricavi. Tra le banche posizionate meglio, oltre Intesa Sanpaolo, c'è anche UniCredit. Ma il calo degli esuberi nelle divisioni italiane di Piazza Cordusio, dai 4.700 previsti inizialmente ai 3mila dell'accordo di ieri non entusiasma gli analisti, che attendevano risparmi maggiori. Invece le grandi popolari, condizionate dal peso dei dipendenti-azionisti, hanno ancora grandi margini di efficientamento. Con il rinnovo del contratto nazionale di categoria alle porte, le trattative tra Abi e sindacati si preannunciano davvero complesse.