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Questo articolo è stato pubblicato il 23 ottobre 2010 alle ore 13:28.
GYEONGJU – Il G-20 ha provato a mettere la parola fine alla guerra dei cambi che ha imperversato nelle ultime settimane, con un accordo di compromesso che, come sempre, al di là delle dichiarazioni di soddisfazione di fine vertice, solo la riapertura dei mercati valutari lunedì potrà giudicare.
A Gyeongju, in Corea del Sud, ministri finanziari e governatori dei grandi paesi industriali e delle nuove potenze emergenti si sono impegnati a evitare di usare svalutazioni competitive e a lasciare al mercato la determinazione dei tassi di cambio. Proprio il contrario di quello che è avvenuto fino alla vigilia dell'incontro coreano, con gli Stati Uniti che hanno favorito il ribasso del dollaro, la Cina che ha impedito la rivlautazione dello yuan e diversi paesi che hanno introdotto controlli sui movimenti di capitale e sono intervenuti massicciamente per frenare i mercati.
Non è passata la proposta americana di fissare dei tetti ai surplus commerciali dei singoli paesi, una iniziativa diretta soprattutto contro la Cina, ma che ha incontrato la netta oposizione anche di Giappone e Germania. E' stato chiesto al Fondo monetario di sviluppare una serie di indicatori che facciano da campanello d'allarme quando gli squilibri globali si aggravano e mettono a rischio la stabilità del sistema. Un primo passo, compiuto nonostante la riluttanza della Cina, lo ha definito il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti.
I risultati più concreti, che dovranno poi ricevere l'avallo politico dei capi di Stato e di Governo del G-20 fra meno di tre settimane al summit di Seul, sono la riforma del Fondo monetario e quella delle regole della finanza globale. Sul primo punto, è arrivato l'accordo, al di là delle previsioni, per «adeguare il Fondo alla nuova realtà dell'economia mondiale», come ha detto il suo direttore, Dominique Strauss-Kahn. I paesi emergenti aumenteranno di un 6% il loro peso nel capitale dell'istituzione di Washington e i paesi europei cederanno loro due degli otto seggi che oggi detengono nel consiglio dell'Fmi. Sulla finanza, approvazione per Basilea 3, la nuova normativa che aumenta i requisiti di capitale delle banche, e impulso al lavoro del Financial Stability Board, presieduto dal governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, per creare un sistema di regole e di vigilanza che impedisca il bis della crisi degli ultimi tre anni.