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Questo articolo è stato pubblicato il 11 febbraio 2011 alle ore 07:44.
Dopo l'euforia e la sorpresa, arriva l'ora delle riflessioni. Ieri si sono raffreddati gli entusiasmi per l'annunciata fusione tra la Borsa di Londra-Milano con quella di Toronto e per la trattativa tra la tedesca Deutsche Börse e la franco-americana Nyse Euronext. Non solo i titoli delle Borse (che sono a loro volta quotate in Borsa) hanno quasi tutti perso terreno, ma da più parti si sono sollevati vari dubbi. In Germania protestano alcuni azionisti, per esempio il fondo Union Investment, perché il concambio che si prospetta nella fusione Francoforte-Parigi-New York non sarebbe per loro vantaggioso. Merrill Lynch pone invece problemi di Antitrust, dato che l'unione tra le Borse di Francoforte e Parigi creerebbe un listino dei derivati con il 93% del mercato europeo.
La fusione Londra-Toronto solleva qualche preoccupazione politica in Canada. E negli Usa alcuni commentatori lamentano la perdita della centralità di New York come piazza azionaria. E l'andamento in Borsa delle Borse, a prescindere dal gioco di parole, dimostra tutti questi dubbi: il London Stock Exchange ha perso l'1,36%, Nyse Euronext lo 0,78% e la Borsa di Toronto (Tmx Group) l'1,33%. Solo Deutsche Börse, con il balzo del 6,35%, ha guadagnato terreno.
Le fusioni annunciate giovedì presentano infatti varie problematiche. La prima è legata all'interesse collettivo: le Borse non sono semplici società private, che giustamente devono realizzare utili e soddisfare gli azionisti, ma sono anche volani importanti per le economie di ogni paese. Una Borsa permette alle imprese di quotarsi, cioè di raccogliere capitali e di crescere. Il punto sta proprio qui: se da un lato è evidente il beneficio derivante dalle aggregazioni per le Borse intese come società (con le fusioni si creano sinergie, si riducono i costi degli investimenti, si aumentano i volumi e i profitti), dall'altro è meno immediato il beneficio per i sistemi paese. La teoria prevede che le fusioni siano positive anche per le imprese, perché aumenterebbero il bacino di investitori e la liquidità sui loro titoli. Ma questa è solo la teoria: per ora, nelle fusioni del passato, questo non è accaduto in maniera evidente.