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Questo articolo è stato pubblicato il 08 agosto 2011 alle ore 06:41.

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PAGINA A CURA DI
Davide Paolini
Alcuni sono rari come pietre preziose. Altri nascosti come fiori tra le rocce. Diversi sono dimenticati come parenti troppo lontani. O introvabili come un idraulico di sabato ad agosto. Sono i giacimenti gastronomici italiani, termine che mi piace usare spesso per indicare i prodotti ricchi di storia, tradizione e con un apporto di gestualità e manualità uniche.
La loro origine, gli aneddoti che li circondano, i segreti di conservazione, gli usi di preparazione costituiscono un valore aggiunto al sapore e al profumo e appartengono alla sfera della cultura materiale. Tutto ciò li rende vere e proprie creazioni artistiche del patrimonio culinario italiano capaci di destare l'interesse di buongustai alla ricerca di sapori perduti e, allo stesso tempo, di muovere il consumatore che vuole vedere da vicino come lavora l'artigiano.
Ma essendo giacimenti appunto, richiedono lo sforzo della ricerca o il fiuto del cane da tartufo per essere scovati. Una recente indagine della Coldiretti sull'elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali delle regioni, pubblicato con decreto nella «Gazzetta Ufficiale», ci dice che nel nostro Paese ce ne sono 4.606, senza contare Dop e Igp. Loro le chiamano bandiere del gusto e forse in ambito estivo suona anche bene.
Eh sì, perché se da anni i giornali in questo periodo versano "mari" d'inchiostro per segnalarci quali località balneari possono godere del privilegio di sventolare la bandiera blu che ne certifica la qualità ambientale, a me piacerebbe leggere anche di grossi stendardi che si agitano al vento in prossimità di quei luoghi che sono culla di eccellenze gastronomiche.
Me lo immagino già il gonfalone alle porte di Campotosto in Abruzzo con impresso la sagoma della mortadella che ha caratteristiche diverse da quella emiliana. Come anche a Cherasco in Piemonte, stavolta riportante l'effigie del particolarissimo dolcetto che qui solo una pasticceria produce dalla fine del 1800.
Vorrei anche una bandiera a Cormons, in Friuli, per lo squisito prosciutto, un altro vessillo a Vico Equense in Campania dove dimora il provolone del monaco.
E che dire della provincia di Ragusa? Un stendardo non basterebbe, sarebbe meglio un tendone da circo per segnalare la ricchezza di questo territorio che offre, tra le molte golose attrattive, la gelatina di maiale e il cioccolato di Modica.
Attenzione però, non si tratta solo di realizzazioni appartenenti a una nicchia ristretta, ma anche di prodotti che trovano nel territorio di origine lo spazio per salvarsi dal rischio di uniformazione al ribasso. Infatti se negli anni si è fatto molto per comunicare l'originalità e l'unicità di alcune produzioni tipiche, il loro successo talvolta ha decretato l'azzeramento di differenze qualitative trasformandole in quello che in gergo viene definito commodity.
Commodity è un termine inglese che indica un bene per cui c'è domanda ma che è offerto senza differenze sul mercato, il prodotto è lo stesso indipendentemente da chi lo produce. Do you know lardo di Colonnata? Presente la fontina? Mai sentito parlare di aceto balsamico? Tutte testimonianze di giacimenti la cui estrema popolarità ha spesso permesso che venissero taroccati altrove, rispetto al luogo di origine, con danni enormi per i produttori locali.
Mi diverto a definire vu' magna' questi venditori-distributori di giacimenti "fotocopiati" o "falsificati" nella ricetta o nell'uso di materie prime. È un fenomeno di vasta portata che ha colpito non pochi giacimenti a cominciare appunto dal lardo di Colonnata per passare a tutti quei prodotti realizzati in minima quantità che hanno avuto negli ultimi anni un grande successo.