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Questo articolo è stato pubblicato il 26 agosto 2011 alle ore 06:43.

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LOS ANGELES. Era inevitabile che Steve Jobs, malato di cancro dal 2004, dovesse prima o poi dare le sue dimissioni da amministratore delegato della società da lui cofondata nel 1976 con Steve Wozniak; ma l'accorata reazione dei suoi dipendenti, dei milioni di entusiasti proprietari di Mac, iPods, iPads e iPhones, degli investitori arricchitisi negli anni con i titoli Apple, del mondo hi-tech di cui è stato l'indiscusso profeta, dell'intera popolazione americana è stata commisurata al mito della sua personalità.

Mentre Wall Street non ha quasi fatto una piega di fronte a una notizia ormai metabolizzata nelle quotazioni azionarie (si veda articolo in basso), la Apple è stata subissata di messaggi di supporto e auguri per la salute di Jobs. Il blog «Cult of Mac» è andato in tilt nel giro di un'ora dopo l'arrivo della notizia e ogni personaggio che conta nella Silicon Valley - amministratori delegati, analisti, venture capitalists, banche di investimento, professori universitari - ha fatto a gara per pubblicare il commento più sentito sul genio di Steve Jobs.

Jobs, 56 anni, ha deciso di rimanere alla Apple in veste di presidente del consiglio di amministrazione, come annunciato dal nuovo leader di Apple, Tim Cook, al timone ormai dal gennaio scorso, quando Steve Jobs dovette prendersi un'assenza (la terza ed ultima) per malattia.
Cook, 51 anni, è alla Apple da 13 anni, da quattro ne è direttore esecutivo, ha la piena fiducia di Jobs, dei dipendenti, del cda di Apple e soprattutto di Wall Street. Non ha certamente il carisma di Jobs, la sua teatralità, l'indole profetica, la rara combinazione di imprenditorialità, creatività e intuito. Ma, come ha sottolineato Jobs quando ha raccomandato al cda di sceglierlo al suo posto, è l'uomo migliore per seguire le sue orme.

Wall Street ha dato apparentemente piena fiducia alla designazione. I mercati, ormai abituati all'arrivo di un nuovo prodotto rivoluzionario ogni quattro o cinque anni (l'iPod nel 1991, l'iPhone nel 1997, l'iPad nel 2010), stanno aspettando dalla Apple la prossima rivoluzione, si dice che sarà nella televisione, la iTV. Stanno attendendo anche il nuovo iPhone 5 quest'autunno e l'iPad 3 all'inizio del 2012. E soprattutto stanno aspettando da Tim Cook una decisione su come investire la montagna di contante - 76 miliardi di dollari destinati a diventare 100 entro la fine dell'anno fiscale - accumulata nelle casse della società. Non è mai stato nello stile di Steve Jobs effettuare acquisizioni, né distribuire grossi dividendi agli azionisti, e Wall Street crede che Tim Cook continuerà su quella strada, se non altro perché Steve Jobs continuerà ad avere influenza sulle decisioni strategiche della società e ha intenzione di seguire da vicino lo sviluppo e il lancio di nuovi prodotti.

Benché stanco, dimagrito e sofferente, Steve Jobs era coinvolto persino nei dettagli più minuziosi della gestione aziendale fino al giorno prima delle sue dimissioni ufficiali di fronte al cda. Ancora domenica sera si era lamentato per la scelta di un giallo troppo chiaro nella seconda "o" di Google che appare nell'icona dell'applicazione Google sull'iPhone.
Per un leader così sarà difficile dire addio all'azienda che ha fondato, la sua creatura. E se la reazione del mondo intero alla sua partenza è stata accorata, l'addio da lui dato alla Apple è stato addirittura commovente. «Alla Apple ho trovato i miei migliori amici - ha scritto nella sua lettera di dimissioni al cda - ringrazio tutti per avermi dato l'opportunità di lavorare al vostro fianco».

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