Punta a diventare un punto di riferimento nelle consegne a domicilio di piatti pronti, anzi qualcosa di più, cavalcando un claim (“Taste the food not the Journey”) che dice abbastanza anche se ovviamente non tutto. La missione di Hotbox, startup nata a maggio del 2016 in quel di Maranello, alle porte di Modena, è ancora più ambiziosa perché nelle intenzioni dei suoi giovani fondatori c’è l’obiettivo dichiarato di diventare uno standard (di qualità del cibo trasportato) nel sempre più variegato del food delivery.
Cosa c’è dietro questa idea si spiega con una domanda: può una pizza o un piatto da asporto arrivare a destinazione in condizioni non idonee per essere consumata? No, se la pizzeria (o il ristorante) che offre pasti pronti a domicilio vuole avere successo. Da qui il progetto di un forno professionale, protetto da brevetto, in grado di raccogliere il calore in eccesso prodotto dal tubo di scarico dello scooter sul quale è montato e di mantenere il cibo caldo a una temperatura di 85 gradi per circa 40 minuti. Non parliamo quindi di un tradizionale sistema di riscaldamento a vapore ma di bauletti termici dotati di deumidificatore e strumenti per il ricircolo dell’aria, che preservano gusto, fragranza e consistenza del cibo dall’umidità permettendo nel contempo di ottimizzare consegne multiple.
Come è nata la startup
L’aneddoto che accompagna la nascita di Hotbox è curioso e vale la pena raccontarlo. Uno dei suoi founder (Claudio Giovini,
italo venezuelano) stava aiutando i genitori nella pizzeria di famiglia come addetto alle consegne e mentre prendeva le pizze
dall’apposito bauletto si ustiona la gamba con la marmitta dello scooter. Da questo incidente fortuito ecco l’intuizione di
sviluppare, al fianco dei compagni di università Anthony Byron Prada (anch’esso italo venezuelano) e Marco Caputo e dell’amico
comune Domenico Palladino, un forno mobile in grado di sfruttare al meglio questa fonte particolare di energia. Dopo circa
un anno di prove e cambiamenti in corsa, grazie al finanziamento iniziale di 20mila euro dell’incubatore GTechnology è stato
creato il primo prototipo da testare sul campo; poi sono arrivati, fra l’estate del 2018 e l’inizio di quest’anno, nuovi investimenti
a firma dall’azienda bergamasca Pplast (per 330mila euro, in cambio di quote della startup) e altri investitori istituzionali
(fra cui Matteo Fago, il fondatore di Venere.com, e il fondo di investimento Monini).
L’Europa e le Americhe nel mirino
Oggi Hotbox è una realtà che sta crescendo a pieno regime e i numeri che leggiamo sul suo sito e che abbiamo appreso dai diretti
interessati lo confermano: oltre 92mila i chilometri percorsi dagli scooter (i modelli compatibili, noleggiabili anche in
bundle, sono fra i più utilizzati in Italia) equipaggiati con i suoi bauletti (circa 100 quelli venduti fino a oggi, principalmente
a ristoranti), più di 58mila consegne effettuate e oltre 160mila pasti consegnati in cinque regioni italiane. Garantire la
“delivery” di piatti in perfette condizioni, ci spiegano i portavoce della startup, rimane il punto fermo di una strategia
di espansione che mette nel mirino sia la piccola ristorazione sia le grandi catene del food (come Domino’s Pizza) per arrivare
a piattaforme digitali come Deliveroo e JustEat (altro cliente già acquisito). L’obiettivo nel medio termine è quello di toccare
le 250 unità su strada entro la fine del 2019 e iniziare a mettere qualche bandierina in Europa, partendo da Francia, Inghilterra
e Spagna; nell’arco di tre quattro anni ecco quindi il grande salto verso i mercati di Nord e Sud America. Per centrare l’obiettivo,
in Hotbox hanno già avviato una nuova campagna di fundraising da 1,5 milioni di euro, capitali che serviranno per l’ulteriore
sviluppo del prodotto, per il deposito di un nuovo brevetto relativo a sistemi di deumidificazione forzati e per la produzione,
la distribuzione, il marketing e le vendite.
A fine 2020 la versione per bici
Nell’agenda a breve e medio termine di Hotbox sono evidenziate in rosso due novità. Una versione a batteria del bauletto in formato cargo per le consegne multiple via auto e moto e una seconda, in rampa di lancio
per l’ultimo trimestre, più leggera e compatta per biciclette. Spingendosi più in là, immaginando la startup fra 10 anni, ciò a cui pensa l’intero team è una “piattaforma” autonoma e
intelligente, e più precisamente un dispositivo in grado di operare con il modello delle consegne “last mile” avvalendosi
di qualsiasi risorsa disponibile (compresi veicoli autonomi o fattorini adibiti allo spostamento di colli in città) per arrivare
nel ristorante a raccogliere il cibo e raggiungere la casa del cliente per consegnarlo. Come funzionerà il tutto? Attraverso
un sistema collegato in rete in tempo reale tramite schede IoT (Internet of Things) che permetterà di ordinare i piatti del
ristorante preferito direttamente dallo smartphone, comodamente seduto sul divano.
© Riproduzione riservata