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New York, lezione di risotto ai futuri chef americani

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SCUOLA DI CUCINA ITALIANA

New York, lezione di risotto ai futuri chef americani

NEW YORK - Le regole per cucinare un vero risotto sono semplici. Ma vanno eseguite con maestria e non è facile riuscire a ottenere una cottura perfetta, con il brodo che lentamente viene assorbito dai chicchi. Ci vogliono materie prime di qualità: il Carnaroli, il vino bianco, il brodo di carne, il burro, gli asparagi, il gorgonzola e il tocco finale della mantecatura con tanto Grana o Parmigiano. Il tempo di riposare. Fino a quando il risotto “non fa l'onda”. Lo chef Vito Gnazzo continua a spiegare e a mostrare come si fa un risotto ai ragazzi americani della Food and Finance High School di New York, che guardano stupiti come nasce un piatto della cucina italiana.

La FHHS è una scuola pubblica che prepara alle professioni legate alla ristorazione nel cuore di Manhattan, a Hell's Kitchen, 525 West 50th Street. Molti di questi ragazzi arrivano da zone periferiche della città, da famiglie disagiate, afroamericani, ispanici, asiatici. Sono qui per imparare un mestiere. Molti, la maggior parte, lasciano prima di terminare il percorso formativo. Tra di loro ci sono tante ragazze che studiano per diventare chef. Qualcuno di loro ce la fa e resta fino alla fine. “Ai migliori ragazzi a fine corso offriamo uno stage da 3 a 6 mesi. Se sono bravi alla fine li assumiamo perché il problema più grande per noi ristoratori di qualità a New York è quello di trovare del personale all'altezza della cucina. In questa scuola ci sono tanti che lasciano prima di finire: c'è un 75% di abbandono, ma tra il 25% che finisce di studiare ci sono tanti bravi futuri protagonisti della ristorazione”, racconta Gianfranco Sorrentino presidente del Gruppo Italiano, una organizzazione no-profit di operatori, appassionati e studiosi che lavorano a tutto tondo con i ristoratori, i produttori, gli importatori, i distributori, la stampa e le scuole di cucina per promuovere la vera cucina italiana negli Stati Uniti.

Ambasciatore della cucina italiana
Sorrentino da 35 anni è una specie di alfiere della cucina italiana a New York. Proprietario dei ristoranti Il Gattopardo, Mozzarella e Vino e The Leopard at des Artistes, tutti e tre a Manhattan. La sua storia è quella di un ragazzo napoletano diventato ormai grande, classe 1954, che a un certo punto, negli anni Ottanta, più precisamente nel 1984, decide di partire con le valigie per lavorare all'estero come tanti. L'America è il sogno di un futuro migliore. Il primo contratto come cameriere a Orlando, in Florida. Gradino dopo gradino diventa manager di locali del gruppo Bice di Milano che in quegli anni aveva diversi ristoranti in giro per il mondo. Per loro Sorrentino comincia ad aprire e avviare locali italiani, prima a Tokyo e poi a New York. A un certo punto nel 1990, dopo sei anni di gavetta, decide di fare il salto prendendo in gestione il “7Moma”, ristorante dell'omonimo museo che portano avanti assieme allo chef Vito Gnazzo, un matrimonio professionale che continua da 30 anni.

Gnazzo, a dispetto del cognome che ricorda quello di una noto ristoratore di Piacenza, viene dalla Campania. I ben informati dicono che il merito del livello così elevato della cucina dei ristoranti di Sorrentino dipende proprio da lui. A sentirlo parlare e a vederlo cucinare si capisce perché: “La passione – racconta - è tutto in questo lavoro. Se non ci metti passione non ha senso lavorare in cucina, è troppo duro”.

Il ristorante che piace ai vip ispirata al film
Archiviata con successo l'avventura del “7Moma”, Sorrentino apre il suo ristorante, il Gattopardo, alta ristorazione italiana, molto noto in città tra italiani e non. Il nome è mediato dal romanzo di Tomasi di Lampedusa, “Amo quel libro e quel film, continuo a rivederlo. Il Moma aveva i diritti negli Stati Uniti e mi ha concesso la possibilità di usarlo. Volevo fare una cucina del Sud, con materie prime di qualità”, racconta. Dopo il Gattopardo, Sorrentino fa ripartire anche The Leopard, il ristorante all'interno del più antico Hotel di New York, il Des Artistes, fondato nel 1908. La sua ricetta è la medesima: cucina a base di prodotti di qualità, cotture semplici, e rispetto della tradizione culinaria del Sud Italia. The Leopard a Des Artistes è il ristorante preferito di Spielberg quando viene a New York.

A poca distanza dal Gattopardo, Sorrentino in ultimo avvia un locale di ristorazione veloce, sempre con l'attenzione ai prodotti e alla qualità, più focalizzato però a un target giovane, chiamato Mozzarella è Vino, nome che già racconta tutto di sé. La società di Sorrentino si chiama Il Gattopardo Group: è cresciuta enormemente e oltre ai tre locali di Manhattan ora ha anche una divisione che si occupa di catering – non è raro incontrare i service di Sorrentino agli eventi dove si parla di Made in Italy. Lui è sempre lo stesso quando lavora. Elegantissimo, di un'eleganza partenopea. Abiti dal taglio sartoriale, cravatta sempre diversa, la camicia bianca perfetta. Nonostante i 9 manager e le 167 persone che ormai lavorano e portano avanti la sua società non è raro vederlo con le mani in pasta quando c'è qualche evento, intento a servire, guidare, dare istruzioni ai suoi dietro le quinte: “E' più forte di me, ho sempre lavorato e continuo a farlo con passione”.

Se provate a parlargli di spaghetti meatball o di salami pizza – quello che gli americani considerano cibo italiano ma che in Italia non esiste – state sicuri che lo farete arrabbiare. “Non scherziamo. L'Italia ha una cucina regionale ricchissima e inimitabile. Gli americani negli ultimi anni hanno cominciato ad apprezzare la vera cucina italiana. Ricordo che fino a pochi anni fa mi chiedevano di pasteggiare con i liquori. Ora per fortuna non si usa più e preferiscono un buon vino. Il gusto si è evoluto, la cultura e la conoscenza aiutano e anche gli americani sono diventati più raffinati.

Il risotto cucinato assieme ai ragazzi delle Food and Finance High School di New York fa parte di una serie di workshop tenuti oltreché da Sorrentino e Gnazzo da altri noti ristoratori come Danny Meyer e Tom Colicchio, game-changer dell'industria della ristorazione americana che investono, cercando di restituire un po' di quello che hanno imparato della loro esperienza nella formazione di questi studenti. Sperando che a qualcuno di loro cresca la voglia di portare avanti l'alta cucina e la ristorazione di eccellenza. Una professione più simile alla vocazione che a un semplice lavoro che, come dice Gnazzo, non tutti riescono a fare. Ci vogliono umiltà, tanta voglia di imparare, il desiderio di conoscere che non deve mai spegnersi fino a quando c'è la vita e soprattutto il motore che muove tutto: la passione.

La lezione sul risotto

Il risotto è terminato. I ragazzi a semicerchio attorno ai fuochi e alla pentola in alluminio osservano lo chef. E' il momento di gettare il Grana e di girare con gli ultimi tocchi, a fuoco spento, il risotto per la mantecatura. L'onda è pronta. Gnazzo mostra come si fa a far girare il riso, solo muovendo la pentola con le mani in avanti e in alto con un movimento ritmico e deciso. Il risotto continua a girarsi su di sé. Chiede ai ragazzi di provare a fare lo stesso movimento. Ci prova un primo ragazzo e ci riesce. Una ragazza attenta vorrebbe provare anche lei ma ha quasi timore. Lui la invita a farlo. Fa un movimento sbagliato, un po' di riso esce fuori dal bordo della pentola e finisce sul piano in acciaio della cucina. Si ride. Non è un reality show, ma una scuola dove si impara, e si impara soprattutto dagli errori. Vito comincia a servire i primi piatti. Un mestolo che con i movimenti della mano si concia ad arte sul piatto. Dopo di lui provano a farlo i ragazzi.

Mia nonna Rosa diceva sempre a mio padre e mio padre me lo ripeteva: “il riso passò il mare e non si raffreddò”. A significare che prima di assaggiarlo il risotto devi aspettare un attimo. E soprattutto quando si è piccoli quell'attimo diventa interminabile. Aspettiamo aiutati dagli anni: è il momento di fare una foto con tutti i ragazzi, Vito Gnazzo e Gianfranco Sorrentino e di assaggiare e gustare un risotto come quelli che fanno a Varese o a Novara che qui a New York non sanno neanche cosa sia. Lo dimostra il professore-chef della scuola di cucina di New York che è americano e mangia il risotto da dieci e lode di Vito con asparagi e gorgonzola con la Coca Cola. Non si può vedere. Tutti gli italiani presenti girano gli occhi e fanno finta di non vedere. Ma si semina, si gettano semi di conoscenza della vera cucina italiana.

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