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Questo articolo è stato pubblicato il 29 marzo 2012 alle ore 06:45.

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LEGNANO. Dal nostro inviato
«Un vantaggio di vendere all'estero? Per esempio non devo neanche telefonare per sollecitare i pagamenti». Gian Angelo Mainini è pragmatico e vede solo aspetti positivi nella crescente internazionalizzazione delle imprese lombarde. Dati certificati ieri, proprio nella sede di Confindustria Alto Milanese che Mainini presiede, dalla ricerca annuale di Confindustria Lombardia.
La spinta oltreconfine, pur in un anno difficile, ha portato le vendite regionali ai nuovi massimi storici, oltre i 104 miliardi di euro. Le imprese attive all'estero, esaminate nel sondaggio, sono oltre 2000, la maggior parte con attività di vendita, altre con filiali o joint venture produttive. Globalmente controllano aziende che danno lavoro fuori dall'Italia a oltre 400mila addetti, cifra questa che non cresce ormai da anni. «E tuttavia – spiega Marco Mutinelli dell'Università di Brescia – la tenuta è un fatto positivo, perché nelle crisi passate vi era stata una vera e propria ritirata dall'estero». In media, e questa è la vera salvezza dell'economia del territorio, le esportazioni aumentano il loro peso sui ricavi aziendali e arrivano nel 2011 al 39% dei ricavi aziendali, ma per oltre un terzo del campione questo livello sale al 50%. Mediamente le imprese vendono in ben 16 paesi diversi, a fronte di un dato nazionale che si ferma a sei. La presenza diretta più pesante è in Francia e Usa, ma nelle prime posizioni della classifica iniziano a comparire anche i Brics.
Se questa è la situazione attuale, in chiave prospettica è evidente la volontà di diversificare i mercati di sbocco e solo il 21% delle imprese lombarde indica nei paesi Ue le future aree di investimento. Al primo posto delle "intenzioni" troviamo la Cina, con quasi 50 progetti di crescita, poi Brasile, Usa e India. India che però primeggia se si limita l'analisi ai progetti di attività produttive o di ricerca e sviluppo. Esemplare il caso della Rossini, 50 milioni di ricavi, quasi tutti realizzati all'estero, in grado lo scorso anno di arrivare al miglior bilancio di sempre. La società produce matrici per stampa e i quattro stabilimenti esteri, oltre ai due italiani, non sono ancora il punto d'arrivo. «Nel 2013 apriamo in India investendo almeno 5-6 milioni – spiega il presidente Felice Rossini – ma questo non significa delocalizzare, è un modo per avvicinarci ai luoghi in cui i prodotti vengono acquistati e consumati. È la strada per continuare ad essere forti qui in Italia, dove il nostro export vale il 70% dei ricavi».
Buon per loro, perché come ha ricordato ieri Fabrizio Guelpa, responsabile Industry dell'ufficio studi di Intesa Sanpaolo, banca che ha collaborato alla ricerca, «le esportazioni sono in questo momento l'unico aspetto positivo in un quadro in cui tutte le altre componenti del prodotto interno italiano hanno il segno meno». Se questo è il quadro, va chiarito che la crescita oltreconfine non è un percorso indolore, e neppure privo di difficoltà. Il primo ostacolo, segnalato nel 26% delle risposte, è rappresentato dalla dimensione aziendale, spesso inadeguata a spingersi nei mercati più remoti. Un problema di cui le aziende sono ben consapevoli e infatti quasi il 30% del campione ha nella propria strategie un percorso di aggregazione, mentre l'8% lo ha già realizzato. «Le reti d'impresa – spiega Alberto Barcella, presidente di Confindustria Lombardia – sono uno strumento formidabile per allargare il raggio d'azione delle aziende e integrare le conoscenze. Qui sul territorio abbiamo anche l'esempio virtuoso del cluster dell'energia, un modo per mettere a fattore comune le competenze di grandi e piccole realtà. Ecco perché chiediamo alla politica industriale regionale uno sforzo particolare in questa direzione, oltre che nell'area del credito per supportare il sistema dei Confidi».
Regione che si impegna – attraverso il Vicepresidente della Giunta e assessore alle attività produttive Andrea Gibelli – «a spingere su queste leve, nella consapevolezza che tocchi alla politica indicare degli indirizzi e delle linee di sviluppo per le imprese». Il sondaggio proposto alle aziende ha anche verificato l'esistenza di molteplici canali di supporto per le azioni di internazionalizzazione. Il 21% si rivolge al sistema camerale, il 19% a Banche o Consorzi Export, il 17% alle strutture di Confindustria. Positivo il giudizio su queste ultime, che incassano un 50% di consensi e solo il 3% di valutazioni negative. Meno brillanti i risultati di Ice, Simest e Sace, che forse anche per la presenza nel campione di molte Pmi, ottengono valutazioni positive inferiori.
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