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Questo articolo è stato pubblicato il 11 aprile 2012 alle ore 08:08.

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Contrordine, cari fornitori asiatici. D'ora in poi, ai rubinetti e ai pallottolieri in legno made in Thailandia o Malesia la centrale acquisti Ikea, una vera potenza anche dentro la multinazionale svedese, preferirà i prodotti italiani dei distretti piemontesi che, così, finiranno a far bella mostra di sè nei punti vendita sparsi sul globo.

Per le aziende italiane, specie per le 24 prescelte, la decisione, svelata a ridosso del 51° Salone del Mobile e in un frangente difficile, con la filiera penalizzata da consumi interni sottozero, è una sana boccata d'ossigeno.
Per l'Italia tutta, è una dimostrazione di rinnovata fiducia: Ikea Italia ha chiuso il 2011 con 46 milioni di visitatori, è sbarcata in Sicilia, a Catania, nel 2012 sarà la volta di San Giovanni Teatino, a Chieti, ventesimo punto 'tricolore'.

Per le aziende della filiera made in Italy, infine, c'è la conferma delle loro capacità. È la rivincita del bello e ben fatto, una sorta di revenge storico-industriale rispetto alle piazze asiatiche, corteggiate finora soprattutto per il loro più appetibile costo del lavoro.
E, invece, no. La variabile umana perde fascino, agli occhi di colossi come Ikea, perchè in Asia il costo del lavoro cresce, galoppa a vista d'occhio, quasi un contagio che dalla Cina (il balzo medio dell'ultimo triennio è di circa il 20%, tanto che aziende cinesi, a loro volta, hanno delocalizzato nei Paesi asiatici confinanti) tanto da limare il vantaggio competitivo rispetto alla variabile logistica che, sommata alla capacità di produrre e bene (quasi) a chilometro zero, ripsarmiando sulle emissioni e l'inquinamento riesce ad azzerare le controversie legate ai reclami della clientela su prodotti difettosi o inadeguati.

Una vera e propria piaga, a sentire i responsabili Ikea, quella dei reclami che affligge molte produzioni fatte in Asia, troppo lontano dai punti vendita europei.
Ma ad attirare Ikea, ora, è la flessibilità di distretti piemontesi storici come quello di San Maurizio d'Opaglio o di Gozzano capaci di produrre 30mila rubinetti come Dio comanda just in time seguendo con scrupolo il capitolato e riducendo i costi dello spostamento di rubinetti made in Malesia che valgono ben più del lavoro più o meno flessibile.
«Per noi di Ikea la flessibilità del lavoro, l'articolo 18, per intenderci, non è un problema, quanto l'incertezza dei tempi della burocrazia e della politica», ha dichiarato ai microfoni di Radio 24 l'amministratore delegato di Ikea Italia, Lars Petersson.

Aggiungendo che « la verità è che sull'Italia vogliamo investire di più. Stiamo molto attenti alle scelte logistico ambientali e abbiamo scelto questo paese perché abbiamo un'ottima esperienza con i fornitori e la loro qualità: hanno dimostrato di essere molto flessibili sui cambiamenti dei prodotti».
L'Italia, intanto, con circa un miliardo di euro di acquisti è già il primo cliente della filiera italiana del legno-arredo: l'8% degli acquisti mondiali è made in Italy, al terzo posto dopo Cina e Polonia. In quest'ultimo Paese, però, Ikea vanta proprie fabbriche, al contrario dell'Italia e della Cina, dove ha attivato una campagna di reclutamento alla ricerca del miglior fornitore.

La percentuale balza al 34% sulle cucine: una su tre venduta è prodotta in Italia. L'area prioritaria di approvvigionamento è il Veneto (38% degli acquisti), seguita da Friuli (30%) e Lombardia (26%).
Nel Nord-Est d'Italia Ikea acquista più che in Svezia o Germania, con una forte ricaduta occupazionale collegata a queste nuove commesse produttive, stimabile in 2.500 posti di lavoro ai quali vanno sommati i 6.600 dipendenti della rete commerciale e logistica e l'indotto dei punti vendita.
Risultato dell'addizione: 11mila posti di lavoro e, i distretti piemontesi, e con loro l'Italia, ringraziano.

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