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Questo articolo è stato pubblicato il 23 aprile 2012 alle ore 08:11.

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«La crisi attuale si può confrontare con quella del 1992-'93, anni segnati da svalutazione della lira, riforma delle pensioni, caduta dei redditi e dei consumi. La fiducia riprese rapidamente l'anno successivo, ispirata anche dalla promessa del milione e mezzo di posti di lavoro. La domanda ripartì e calò la propensione al risparmio, ma l'effetto annuncio ebbe breve durata: la debole crescita del 1995 indusse gli italiani a fare marcia indietro sui consumi e a mettere in atto strategie per ricostituire il risparmio». Per il presidente dell'Istat, Enrico Giovannini, il disagio di questi anni in qualche modo replica quello già vissuto vent'anni fa.

E nella recessione innescata alla fine del 2008 come si comportano gli italiani?
Nel biennio 2008-2009 l'Italia è l'unico grande Paese che incrementa seppur moderatamente i consumi. Altri Paesi, come Spagna, Francia o Germania, aumentano la propensione al risparmio come misura precauzionale di fronte a un futuro incerto. Nella parte finale del 2011, quando con il nuovo Governo si comincia a parlare della crisi in maniera strutturale, dissolvendo alcune illusioni, mi aspettavo che le famiglie (almeno quelle che possono) si applicassero a un'opera di ricostituzione del risparmio ed è quello che sembra stia succedendo.

Tardi per un recupero?
Nel quarto trimestre del 2011 si riducono la propensione al consumo e la domanda di beni specifici (come auto e beni durevoli) con l'effetto, tra l'altro, di aggravare la recessione, mentre sul versante del risparmio si rileva una diversificazione dei comportamenti. Ci sono famiglie costrette a erodere tutto il reddito o che arrivano a indebitarsi; quelle che ritengono di dovere risparmiare ma non riescono a farlo; e altre, in aumento, che tendono a risparmiare pur potendo spendere perché spaventate dalla congiuntura economica.

Oltre alle difficoltà oggettive per alcune famiglie, anche la percezione della crisi non invita quindi a spendere. Ma c'è qualche spiraglio?
Negli ultimi mesi il clima di fiducia è leggermente migliorato. Da un lato, gli imprenditori vedono una dinamica favorevole nei Paesi emergenti (Asia, Africa, Sudamerica) e ne è una prova la ripresa dell'export. Dall'altro, le famiglie forse traggono qualche segnale positivo dalla riduzione dello spread, dagli sforzi per la messa in sicurezza dei conti pubblici e dall'intensificarsi della lotta all'evasione.

Un po' meno pessimismo dunque, ma a che punto siamo?
Qualche passo indietro rispetto all'abisso di cui si parlava è stato fatto, la caduta dei corsi dei titoli di Stato si è arrestata e si è recuperata credibilità internazionale. Ci sono, quindi, elementi che, accompagnati alla previsione di una ripresa internazionale nella seconda parte del 2012, giustificano un ritorno di fiducia. Certo, la situazione di tante famiglie è molto difficile e l'incertezza pesa sui comportamenti di consumo e di risparmio, anche per quelle fasce non colpite duramente come altre.

La crisi ha cambiato un po' la "testa" degli italiani?
Nel 2011 sono scesi anche i consumi alimentari e questo può anche essere indice di una maggiore attenzione al modo in cui consumiamo, cioè ai prezzi, agli sprechi, alle quantità, fermo restando che tante famiglie hanno difficoltà a far quadrare il bilancio. La domanda da porsi è quindi se questa crisi non stia conducendo l'attuale società a un ripensamento del proprio modello di sviluppo. C'è una domanda di compatibilità ambientale, di qualità della vita che non passa più solo attraverso beni materiali individuali, ma anche attraverso i cosiddetti "beni relazionali".

E la depressione da recessione?
Dipende dalla durata della crisi. Se si superano le difficoltà nel giro di mesi e non di anni, se il Governo indica una via d'uscita, l'effetto depressivo può essere attenuato. Come tutti ripetono, superata la fase di stabilizzazione dei mercati occorre attivare un circolo virtuoso di crescita, per evitare il rischio di un avvitamento delle aspettative verso il basso.

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