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Questo articolo è stato pubblicato il 03 maggio 2012 alle ore 06:46.

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MILANO
La montagna dei crediti Iva colpisce in pieno esportazioni e investimenti. I principali elementi che determineranno la crescita del nostro Paese.
«I tempi lunghissimi dei rimborsi – osserva Luigi Scordamaglia, ad di Inalca, leader italiano nella lavorazione delle carni – scoraggiano proprio le cose che dovrebbero invece essere incentivate: l'export e i grandi investimenti per la crescita. Sul mio gruppo l'Iva è neutra: paghiamo un'aliquota del 10% sugli acquisti degli animali e l'incassiamo sempre al 10% per le vendite, tuttavia per ottenere i rimborsi sui grandi investimenti effettuati in passato abbiamo atteso cinque anni per i rimborsi». Insomma, un potente disincentivo per la crescita.
Ma c'è dell'altro: le aziende vocate alle esportazioni non incassano Iva ma la pagano, il 10%, sugli acquisti. E questi sono crediti che si accumulano. «Se si è esportatori abituali – aggiunge Scordamaglia – si può chiedere l'esenzione Iva ai fornitori: il meccanismo aiuta ma non risolve completamente il problema. Se si vogliono stimolare gli investimenti bisogna quindi sbloccare i rimborsi: nuova linfa per l'economia italiana».
C'è però anche una nuova metodologia per differire i rimborsi. «Da un paio d'anni – spiega Vittore Beretta, presidente del Salumificio Beretta, 592 milioni di ricavi nel 2011 – i tempi di liquidazione si sono improvvisamente allungati. Gli uffici Iva pur di non liquidarci i crediti ci chiedono periodicamente documenti che finiscono con il dilatare i tempi dell'istruttoria». In realtà la settimana scorsa una società del gruppo Beretta ha ricevuto, dopo dopo due anni e mezzo, la conferma di rimborso per un credito di 360mila euro «ma la liquidazione non c'è ancora – precisa l'imprenditore brianzolo –. Mentre per un altro credito, da 350mila euro, relativo al 2010, continuano, a singhiozzo, a chiederci documenti, cosa che avrebbero potuto fare in una volta sola».
L'alimentare è il settore più penalizzato a causa dello squilibrio strutturale tra aliquote dell'Iva pagata (10% e 21%) e quella incassata (4% e 10%). Il lattiero caseario in particolare, secondo stime di Assolatte, l'Associazione dei produttori, avrebbe ben 800 milioni di crediti Iva in standby. Il 16% dei 5 miliardi del 2010 da rimborsare (su 8,6 complessivi) ammessi dal governo e ancora in corso di rimborso.
Degli 800 milioni denunciati da Assolatte, una sessantina sono del gruppo Parmalat. Precisamente: al 31 dicembre 2011 Parmalat Spa vantava crediti Iva per 48,4 milioni mentre per le altre società italiane del gruppo Parmalat (Carnini, Centrale del Latte di Roma) se ne stimano 7 milioni. E sorvolando sul fatto che Parmalat SpA ha 68,7 milioni di crediti per imposte dirette.
Quale la soluzione? «Permettere alle aziende del settore - interviene Giuseppe Ambrosi, presidente di Assolatte – la totale compensazione tra crediti e debiti, che oggi è limitata a 516mila euro e che soddisfa solo le aziende di piccole dimensioni». In pratica, un'impresa del lattiero-casearia matura un credito Iva di circa 8 centesimi per ogni litro di latte lavorato e riesce a compensare tutto solo chi lavora meno di 6,5 tonnellate di latte all'anno. Tutte le altre finiscono in credito.
Come la Latteria Plac che produce 100mila forme di Grana padano e 3mila tonnellate di provolone per un'ottantina di milioni di fatturato. «Vantiamo crediti per 4,5 milioni – osserva Nicola Baldrighi, presidente dei Produttori di latte associati di Cremona - con un ritardo di "soli" 15 mesi: l'ultimo pagamento risale al primo trimestre del 2011, ma in altre province i ritardi sono più consistenti».
Ma il dato tragicomico della vicenda crediti Iva è che «ogni trimestre che chiediamo a Equitalia il rimborso Iva – aggiunge Baldrighi – dobbiamo munirci di una fidejussione triennale a garanzia del credito richiesto. In questo modo l'agenzia si cautela: qualora la dichiarazione risultasse mendace possono recuperano i soldi bonificati. Peccato che la fidejussione bancaria costi mediamente l'1%».
Insomma una situazione insostenibile. Tanto che Francesco Montuolo, vice presidente di Confimprese, l'associazione del franchising, sollecita «una riforma dei rimborsi Iva che ci allinei agli standard europei: abbiamo grandi associati che hanno aspettato fino a 3 anni per rientrare del credito Iva. E sulle Pmi l'inadempienza della macchina fiscale ha un peso ancora più rilevante».
L'isola felice dei crediti Iva è nel Novarese. «Da noi il ritardo medio è "solo" di un anno – spiega Cesare Ponti, titolare della Ponti (aceti, condimenti, sughi e sottaceti) – ma il mio gruppo riesce a dribblare completamente i crediti Iva grazie all'export che l'anno scorso è arrivato al 18%. È stato sufficiente raggiungere un accordo con 4-5 fornitori di imballaggi per l'esenzione Iva».
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