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Questo articolo è stato pubblicato il 31 maggio 2012 alle ore 15:34.

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Davanti alla platea di imprenditori riuniti da Promos a Milano per l'Italia-Macedonia Business Forum, il premier di Skopje Nikola Gruevski elenca gli incoraggianti indicatori economici e parla del vantaggioso sistema fiscale del Paese, ma non menziona il Pil procapite (4.900 dollari) e il tasso di disoccupazione (oltre il 30 per cento).

Come si spiegano due dati così negativi? E cosa fare per migliorarli?
Paghiamo l'indebitamento dell'Europa e il conseguente calo di ordini che ci arrivano da lì. Abbiamo un basso debito e non siamo in una situazione di forte crisi, ma quando gli altri Paesi hanno delle difficoltà, si riverberano su di noi: il 60% del nostro export va nella Ue. Che cosa fare? Cerchiamo di attrarre gli investimenti diretti esteri e di farci conoscere. L'ingresso nella Ue sarebbe importante.

La disputa con la Grecia sul nome del Paese blocca qualunque progresso. Lei ha radici familiari proprio nella regione greca Macedonia. Questo può aiutare a trovare un compromesso?
La disputa risale a 21 anni fa, ho ereditato il problema e mi sono impegnato a trovare una soluzione. È una questione seria. Se nel XXI secolo qualcuno vi avesse chiesto di cambiare il nome della nazione e della lingua come avreste reagito?

La Grecia però mette il veto impedendovi l'accesso a Ue e Nato. Che fare per uscire dall'impasse?
Finché i grandi non fanno pressione su Atene, non si risolverà nulla. Sia i Ventisette sia l'Alleanza hanno riconosciuto che la Macedonia ha tutti i requisiti necessari, persino la Corte dell'Aja ci ha dato ragione. La Grecia parte da una posizione di forza e non di giustizia: loro sono dentro e noi fuori.

Sul fronte della stabilità interna pensa che il problema della minoranza albanese sia sotto controllo?
Siamo una società multietnica, sono secoli che viviamo insieme, episodi di violenza ci sono, come ci sono in altri posti. Le nostre forze dell'ordine funzionano, i criminali vengono presi. Come accade altrove.

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