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Questo articolo è stato pubblicato il 06 giugno 2012 alle ore 11:52.

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Nel mondo la produzione agricola non tiene il passo della crescente domanda, dovuta all'aumento della popolazione e a quello ancora più marcato dei consumi, soprattutto nelle economie emergenti dei "Brics" (Brasile, Russia, India, Cina). Per tutti il cibo costerà di più, con un impatto pesante sulle fasce più povere della popolazione mondiale, ma si farà sentire direttamente o indirettamente anche nei paesi ricchi.

Da qualche anno paesi dotati di molta liquidità, ma scarse estensioni di superfici coltivabili, multinazionali agricole, agglomerati finanziari hanno acquisito o affittato milioni di ettari di terra in varie parti del mondo, dando vita a un fenomeno comunemente detto "land grabbing", con riferimento esplicito al colonialismo; altri usano l'espressione generica di "land rush" o, in modo più neutro, "land deals". La corsa all'accaparramento delle terre coltivabili, innescato dalla crisi alimentare del 2007-2008, ha assunto dimensioni straordinarie: si calcola che sino già stati oggetto di negoziazione nel mondo dai 50 agli 80 milioni di ettari, di cui oltre i due terzi nell'Africa sub sahariana, laddove Etiopia, Mozambico e Sudan hanno concesso le quantità di superficie più rilevanti.

La "Corsa alla terra", questo il titolo del libro di Paolo De Castro (Donzelli editore), delinea i contorni di un futuro in cui l'agricoltura sarà sempre di più un settore strategico e il controllo dei suoli fertili diventerà cruciale per lo sviluppo delle nazioni. «Nel 2050 saremo più di nove miliardi ad abitare il pianeta, circa un terzo in più di oggi, e per soddisfare la domanda di cibo avremmo bisogno di aumentare la produzione agricola del 70% rispetto a quella attuale. Per di più dovremmo farlo in maniera più sostenibile che in passato».

L'autore insegna economia e politica agraria all'università di Bologna e, attualmente, presiede la commissione agricoltura del Parlamento europeo; è stato ministro delle Politiche agricole prima nel governo D'Alema (dal 1998 al 2000) e poi nel secondo governo Prodi (dal 2006 al 2008). Nell'introduzione al volume Romano Prodi scrive: «La produttività in agricoltura, che aveva fatto straordinari progressi nei decenni della rivoluzione verde, cresce oggi a ritmi molto ridotti. Dopo un lungo periodo di prezzi declinanti dei prodotti agricoli, che ci aveva accompagnato fin dai primi anni del dopoguerra, il mondo sembra entrato in quella che Paolo De Castro definisce l'era della scarsità».

In effetti le opportunità offerte dagli investimenti privati possono portare nei paesi in via di sviluppo nuove tecnologie e più lavoro, ma non devono togliere la terra ai contadini. In certi paesi africani poveri possono quindi rivelarsi fortemente negativi. «In questo tipo di transazioni, solitamente contraddistinte da un basso livello di trasparenza – sottolinea De Castro - sono ricorrenti diverse criticità: la mancanza di consultazione con le comunità locali e di valutazioni di impatto ambientale, l'insufficiente considerazione dell'importanza degli equilibri eco-sistemici e di una gestione sostenibile di terra, acqua e biodiversità, la produzione di cibo spesso destinato essenzialmente all'esportazione in luoghi simbolo dell'emergenza alimentare».

Oggi come in passato tocca alla ricerca e al progresso continuare a smentire le teorie di Thomas Malthus. Per farlo, conclude l'autore, la frontiera tecnologica deve fare più di un passo in avanti, non solo nella direzione delle quantità prodotte, ma anche in quella della riduzione dell'impatto ambientale. E anche su questa strada il ruolo delle politiche può essere fondamentale, ad esempio nello stimolare la ricerca privata, nel definire i limiti alle emissioni inquinanti e gli incentivi all'adozione di tecniche ecocompatibili.

Le cronache dal recente G-8 di Camp David ne hanno parlato poco, ma una campagna da tre miliardi di dollari per combattere la fame in Africa è stata annunciata da Barack Obama, nella conferenza sulla sicurezza alimentare che si è tenuta prima dell'inizio del G-8 vero e proprio. Il presidente americano ha spiegato che l'obiettivo di questa iniziativa, fondata sulla partnership tra pubblico e privato, è che 45 compagnie di tutto il mondo, comprese alcune africane, stanzino tre miliardi di dollari per rafforzare la produzione agricola in Africa.

I leader africani, invitati da Obama al G-8 per discutere di sicurezza alimentare, erano il presidente del Benin Yayi Boni, il primo ministro etiopico Meles Zenawim, il presidente della Tanzania Jakaya Kikwete e quello del Ghana John Evans Atta Mills. «Non metteremo mai fine alla fame in Africa senza investimenti privati - ha detto Rajiv Shah, amministratore dell'Agenzia americana per lo sviluppo internazionale - ci sono cose che solo le aziende possono fare, come costruire silos per l'immagazzinamento e sviluppare sementi e fertilizzanti». Stando a quanto precisato dal "New York Times", l'alleanza vedrà coinvolti colossi come Monsanto, Diageo e Swiss Re, ma anche piccole aziende come Mullege, un esportatore di caffè dell'Etiopia.
Il lancio della nuova campagna ha coinciso con la presentazione del rapporto su quanto ottenuto finora dall'Iniziativa per la sicurezza alimentare lanciata all'Aquila nel 2009, quando gli Otto Grandi si impegnarono a stanziare 22 miliardi di dollari nell'arco di tre anni per sconfiggere la fame nel mondo.

Paolo De Castro, «Corsa alla terra – Cibo e agricoltura nell'era della nuova scarsità», introduzione di Romano Prodi, seconda edizione con una postfazione dell'autore, Donzelli, Roma, 2012, pagg. XII-196, € 16,00.

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