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Questo articolo è stato pubblicato il 10 giugno 2012 alle ore 08:13.

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MODENA. Dal nostro inviato
Prima le complessità applicative del decreto per la riapertura dei capannoni, in particolare nelle procedure per la trasformazione dell'agibilità da temporanea in definitiva. Poi l'allarme sull'imminenza dei nuovi terremoti, lanciato dalla Commissione grandi rischi. Mentre tutta l'Italia si riscopre sismica (poco dopo le 4 del mattino di sabato, fra Belluno e Pordenone si è registrata una scossa di magnitudo 4,5 gradi della scala Richter, senza danni a cose e a persone), in Emilia rischia di bloccarsi la ricostituzione, graduale e faticosa, del tessuto imprenditoriale lacerato e strappato dal sisma. Confindustria Emilia Romagna ha delineato, qualche giorno fa, uno scenario estremamente complicato: danni al sistema economico compresi fra i 4 e 5 miliardi di euro (fra i 2 e i 2,5 miliardi per il settore industriale), 5mila le imprese coinvolte (600 strettamente industriali), 25mila gli addetti (12mila quelli del manifatturiero).
Secondo una stima del Sole 24 Ore, che ha consultato diverse fonti, se le aree segnate dal sisma ritardassero di tre mesi la loro ripresa, il conto complessivo potrebbe salire fino a 6 miliardi di euro. Venerdì i sindaci hanno espresso la preoccupazione che, dopo il rapporto della Commissione grandi rischi, i loro cittadini possano cadere in una sorta di depressione collettiva: «È tutto il giorno che parlo con persone che piangono. Il nostro è diventato un paese-fantasma. Moltissimi sono scappati», riferisce Fernando Ferioli, sindaco di Finale Emilia. Una paralisi che potrebbe estendersi alle attività produttive. Anche se l'energia con cui, in questi giorni, hanno reagito gli imprenditori e gli operai della Bassa Modenese e dell'Alto Ferrarese potrebbe costituire un antidoto agli insondabili pericoli della realtà e alle crescenti paure dell'immaginario. «Boh, mi sa tanto che adesso tutti cercano di tutelarsi - dice Luigi Mai, proprietario a Mirandola della Ptl - noi, intanto, qui andiamo avanti». Lunedì l'azienda di Mai, specializzata in macchine per il biomedicale, otterrà l'agibilità. «Finora avevo la mia roba in una officina del Mantovano. In tre-quattro giorni si potrà ripartire. Il problema sarà la trasformazione dell'agibilità da temporanea in definitiva. Ma quella sarà tutta un'altra partita», riflette Mai. Aggiunge Giampaolo Palazzi, titolare di una officina meccanica a San Felice sul Panaro: «Non so che cosa succederà, di certo l'uscita della Commissione grandi rischi, con questo impatto mediatico, mi è sembrata inopportuna. Qui ci sono bambini e anziani. Persone deboli e persone forti. Nelle famiglie come nelle aziende. Bisognerebbe evitare che la giusta informazione delle istituzioni, al di là delle migliori intenzioni, degeneri in disfattismo». Palazzi oggi sta demolendo l'officina. Ha portato i torni in un altro capannone. Mercoledì collocherà le frese sotto una tensostruttura. «Io vado avanti, dovremo imparare a convivere con il terremoto - spiega -, intanto un primo punto fermo c'è: questo decreto, anche se sembra allungare i tempi, dà più tranquillità». Bruno Di Giacomo, dell'Ansa Marmitte-Tmm di Finale Emilia, non si è mai fermato.
«A me della Commissione grandi rischi non è che interessi molto. Mi sa tanto di procurato allarme. Io faccio tutto il massimo per la sicurezza. E lavoro, lavoro, lavoro. Se mi fermo io, si fermano i miei clienti. Non posso permettermelo. Lunedì ho una consegna per la Ducati». L'Ansa Marmitte è uno degli anelli del just in time della casa motociclistica. «Questo fine settimana, qui a lavorare, saremo in 80 su 130». Entro agosto, la capacità produttiva della Ansa Marmitte-Tmm dovrebbe essere tutta ripristinata. «Ho letto che cinquecento anni fa gli Estensi lasciarono queste nostre terre per un terremoto che durò 12 anni. Noi non ce ne andremo», dice Di Giacomo, con un tono un po' convinto e un po' autoironico.
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