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Questo articolo è stato pubblicato il 15 giugno 2012 alle ore 06:44.

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Non occorre la rigidità di Angela Merkel per rimanere sconcertati di fronte al pasticcio combinato dalla politica siciliana sulla gestione (si fa per dire) dei precari degli enti locali. Un pasticcio senza una via d'uscita ordinata, costruito anno su anno sfruttando la lusinga dei contratti e la minaccia dei mancati rinnovi come strumento principe per le battaglie elettorali.

Prima che economico, il senso della storia è tutto politico. Lo dimostrano anche le modalità dei tanti tentativi di stabilizzazione, fra i quali quello siglato ora è solo l'ultimo. I 22.500 precari di cui si discute oggi sono gli stessi che hanno accompagnato tutte le ultime Finanziarie dell'Assemblea regionale, con il consueto balletto di proposta di stabilizzazione, bocciatura da parte del commissario di Governo e proroga dei contratti in attesa dell'occasione successiva. Nel dicembre del 2010, per esempio, l'Assemblea era in pieno scontro, e Pdl, Popolari d'Italia e Forza del Sud avevano già presentato una mozione di sfiducia per mandare a casa il Governatore. Tra accuse e risposte, le ostilità cessarono magicamente il giorno 15, quando si trattò di votare l'ennesima manovra di stabilizzazione dei 22.500: su 69 presenti, votarono «sì» in 67, in un fiorire di complimenti reciproci fra centrodestra e centrosinistra per «l'obiettivo strategico raggiunto» e «gli impegni mantenuti».

Chiuso il voto, si tornò alla rissa, anche se nemmeno quella volta la stabilizzazione arrivò al traguardo (del resto era stata stoppata dal commissario di Governo anche sette mesi prima). Ora la politica siciliana, che vede all'orizzonte le elezioni anticipate per le dimissioni annunciate da Raffaele Lombardo invischiato nelle inchieste catanesi, trova la solita intesa bipartisan per tentare una strada nuova, quella della legge-voto. Con questo strumento, previsto dallo Statuto speciale, l'Ars chiede al Parlamento nazionale di sbrogliare la matassa approvando una deroga per la Sicilia a vincoli di spesa e patto di stabilità: una deroga pesante, visto che la Sicilia è già oggi l'unica Regione italiana in cui la spesa media di personale assorbe più del 40% delle uscite correnti dei Comuni. Resta da capire su quali basi, mentre tutto il mondo s'interroga sulla tenuta dei bilanci pubblici italiani, Roma possa dire a Palermo «fate pure». Sempre che ai proponenti interessi la sorte effettiva dei precari, e non sia sufficiente il nuovo tentativo da sventolare in campagna elettorale.
gianni.trovati@ilsole24ore.com

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