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Questo articolo è stato pubblicato il 27 giugno 2012 alle ore 06:44.

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ROVERETO DI NOVI (MO). Dal nostro inviato
Alle nove e mezza del mattino, di una giornata provvidenzialmente fresca e ventilata, tutti alzano gli occhi al cielo. È l'elicottero del Santo Padre, che sta per atterrare a un chilometro da qui, nel cuore dell'Emilia ferita dal terremoto. Ad aspettare Papa Benedetto XVI, non ci sono soltanto gli uomini della chiesa, dall'arcivescovo di Bologna cardinal Carlo Caffarra ai più giovani fra i seminaristi di Modena e di Ferrara, insieme ai rappresentanti dell'esecutivo nazionale (il ministro del Turismo, il bolognese Piero Gnudi) e del governo locale, dal presidente della Regione Vasco Errani ai sindaci dei piccoli comuni della zona rossa, che con la loro forza nervosa e le notti insonni hanno tenuto in piedi intere comunità. Ad attenderlo, con la classica compostezza e la tradizionale vitalità immuni da ogni tragedia, c'è soprattutto la gente del terremoto. Duemila persone. Più, nei campi sfollati, quelle che seguiranno la diretta sui maxischermi. Qui a Rovereto di Novi il 70% delle case è ancora inagibile. Intorno al prato predisposto dalla Protezione civile, molte costruzioni sono crepate. Una è appena stata abbattuta. La montagna di detriti è ancora lì. L'ora di attesa, grazie al vento e ai boyscout che dispensano bottigliette d'acqua, è quasi piacevole. I bambini giocano sulle altalene e vanno sugli scivoli. Il Santo Padre, in forma privata, sta visitando la chiesa di Santa Caterina, dove il parroco Ivan Martini, alla seconda scossa di un mese fa, ha perso la vita. Don Ivan, mentre la sua chiesa cadeva in pezzi, stava cercando di mettere in salvo la statua della Madonna. E, quando proprio questa statua viene portata vicino al palco, un applauso parte piano e poco alla volta aumenta di consistenza. A quel punto, tutti capiscono che l'arrivo del Pontefice è imminente. La sua sagoma bianca si vede da lontano. La mini papa-mobile, anziché puntare dritto verso la tenda allestita dalla Protezione civile, fa un giro largo ed entra dall'ingresso principale. A salutarlo per primo è Errani che traccia un breve profilo di questa terra: «Sua Santità, l'Emilia colpita dal sisma è formata da testimoni del lavoro. Vogliamo ricostruire le case e le fabbriche con le regole, ma senza burocrazia. E sconfiggeremo le possibili infiltrazioni illegali e mafiose nella ricostruzione. Qui c'è la buona industria. Qui c'è la buona occupazione. Questo siamo e questo resteremo».
Terminati i saluti introduttivi, tocca al Pontefice che rivela come, nelle preghiere di questi giorni, si sia più volte imbattuto nel Salmo 46: «Dio è per noi rifugio e fortezza, aiuto infallibile si è mostrato nelle angosce. Perciò non temiamo se trema la terra, se vacillano i monti nel fondo del mare». Quindi, specifica che la sicurezza indicata dal salmo non è quella di super-uomini «che non sono toccati dai sentimenti normali. La sicurezza di cui parla è quella della fede, per cui, sì, ci può essere la paura, l'angoscia – le ha provate anche Gesù – ma c'è soprattutto la certezza che Dio è con me». Dunque, alla gente del terremoto, il Pontefice ricorda che «siamo così noi rispetto a Dio: piccoli, fragili, ma sicuri nelle sue mani, cioè affidati al suo Amore che è solido come una roccia». In un discorso interrotto sei volte dagli applausi, la partecipazione emotiva maggiore viene espressa dai duemila di Rovereto di Novi quando il Papa dice: «Guardando le vostre terre ho provato profonda commozione davanti a tante ferite, ma ho visto anche tante mani che le vogliono curare insieme a voi; ho visto che la vita ricomincia, vuole ricominciare con forza e coraggio, e questo è il segno più bello e luminoso». Quindi, Benedetto XVI incontra cinque famiglie che hanno perso la casa e il lavoro. Poco prima, ha chiesto che se ne aggiungesse una sesta, composta da immigrati. Una scelta coerente con la complessità di un terremoto che ha segnato un modello emiliano in cui gli stranieri sono ben integrati e ha rotto gli equilibri di un sistema economico in cui, nella manifattura e nell'agricoltura, la manodopera di nazionalità non italiana supera abbondantemente il 20 per cento. Poco prima di andarsene, ricorda che «la Chiesa vi è vicina e vi sarà vicina con la sua preghiera e con l'aiuto concreto delle sue organizzazioni, in particolare della Caritas». Peraltro la Cei e la Caritas hanno stanziato tre milioni di euro, più i proventi della colletta nelle parrocchie avvenuta il 10 giugno, di cui non si conosce l'importo. I duemila di Rovereto di Novi lasciano il prato e vanno a prendere autobus e automobili. Nell'area industriale, uno dei pochi al lavoro è Oreste Mantova, titolare della Chimat, azienda tessile con 14 dipendenti, indotto di Carpi. «Ho riaperto lunedì. Non so se, per fortuna o per benedizione, non ho avuto grandi danni», dice osservando i collaboratori sistemare i prodotti della sua tintoria industriale. Anche se, poi, da imprenditore abituato a fare di conto, aggiunge: «In realtà, con il nuovo decreto per la riapertura temporanea, qualche intervento l'ho dovuto fare. Un sessantamila euro mi partiranno». E, in questa giornata particolare di spiritualità e di lavoro, mentre pensa ai sessantamila euro saluta con un accenno di sorriso tre preti che, in clergyman nero e grigio, salgono su una vecchia Fiat Uno blu, parcheggiata nel piazzale della sua azienda.
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