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Questo articolo è stato pubblicato il 04 luglio 2012 alle ore 14:06.

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Tony Marciano - AnsaTony Marciano - Ansa

Sarà chiamato a cantare. Ma davanti a un giudice. Tony Marciano è la «guest star» dell'inchiesta antimafia che questa mattina ha portato all'arresto di 22 affiliati al potente clan Gionta di Torre Annunziata (quello coinvolto nell'omicidio del giornalista Giancarlo Siani, per intenderci), accusati di traffico internazionale di droga dall'Olanda. Secondo i magistrati della Dda di Napoli, importavano ogni mese dai Paesi Bassi quintali di cocaina, marijuana, hashish e amnésia (un nuovo mix esplosivo di stupefacenti). Tra i narcos, è spuntato – appunto – Marciano, cantante neomelodico da 150mila copie (miglior piazzamento di sempre con il suo hit, datato 1986, «Io sono meridionale») e «cantore» delle cose di cosa nostra campana.

La ballata contro i pentiti
Nella sua produzione musicale, c'è un testo che ha incuriosito parecchio gli investigatori. È la canzone «Nun ciamma arrennere» («Non ci possiamo arrendere»): un vero e proprio inno alla subcultura di camorra, in cui il cantante accusa i pentiti di distruggere le organizzazioni criminali. E, per ironia del destino, anche il suo arresto è scattato grazie alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.

Nel videoclip (su youtube ha raggiunto la cifra record di oltre 870mila contatti), Marciano punta l'indice contro gli ex uomini d'onore che «hanno perso l'omertà» e che, con le loro soffiate, «hanno fatto cadere un impero». Immaginando di essere un ricercato, il neomelodico promette: quelli che lo accusano «non mi faranno perdere la dignità».

«Mai viste così tante telecamere»
Una cosa c'è da dire: Tony Marciano, pur con le manette ai polsi, non ha perso il sangue freddo. E quando si è accorto della selva di microfoni, flash e obiettivi che lo immortalavano tra i carabinieri, ha avuto un ultimo guizzo da palcoscenico e, rivolto ai giornalisti, ha detto: «Se faccio un concerto, neanche vengono tutte queste telecamere».

I menestrelli dei clan
Quella che lo ha coinvolto non è comunque l'unica indagine che punta al lato oscuro della musica di camorra: nel febbraio scorso, infatti, in una diversa operazione contro il clan Birra-Iacomino, il cantante neomelodico Lello Liberti finì indagato (i pm ne hanno chiesto invano l'arresto a gip e Riesame) per il contenuto della sua canzone «Il capoclan», indicato dagli inquirenti come una sorta di «manifesto» artistico della malavita di Ercolano, altro paesone alle porte di Napoli. Nel testo, Liberti cantava: «Per onore, il capoclan nasconde la verità: è un uomo serio, non è vero che è cattivo». I pm che si sono occupati del caso ritengono che la canzone – e con essa tutto il repertorio musicale di Liberti – fornisca una sorta di «giustificazione» a chi uccide colui che tradisce o che decide di collaborare con la giustizia. Ma, come detto, i giudici non hanno condiviso l'impostazione accusatoria. Le note, anche quella di camorra, per il momento restano ancora a piede libero.

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