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Questo articolo è stato pubblicato il 06 luglio 2012 alle ore 08:36.

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La chiusura di tre stabilimenti Parmalat in Italia illustrata l'altro ieri ai sindacati è solo il primo colpo della "scure" francese, o "hache" se preferite. «Concentrazioni e semplificazioni sono necessarie per riguadagnare competitività, saranno articolate nel tempo e gestite con particolare attenzione alle problematiche occupazionali» ha affermato il direttore generale del gruppo, Antonio Vanoli, nell'incontro al ministero dello Sviluppo economico due settimane fa.

«In questo quadro - si legge nel verbale dell'incontro - Parmalat ha annunciato l'avvio di un piano operativo che prevede la chiusura di tre piccoli stabilimenti con conclamati problemi di saturazione». I nomi sono noti (si veda il Sole di ieri), Genova, Como e Cilavegna (Pavia). Ma ciò che preoccupa i sindacati è che si tratta solo dell'«avvio» del piano di «semplificazione».

Insomma, pensavamo che Parmalat fosse una multinazionale risanata e invece ci troviamo di fronte un'azienda «in crisi». Il che fa presagire altri interventi. Su stabilimenti produttivi, ma non solo. Secondo quanto hanno riferito alcuni partecipanti all'incontro, infatti, i manager di Parmalat hanno preannunciato operazioni di «semplificazione» anche sulla struttura corporate di Collecchio che occupa circa 500 persone impiegate in funzioni amministrative e gestionali.

La "testa" dell'azienda. Il timore è che ciò preluda alla progressiva concentrazione delle funzioni di comando del gruppo da Collecchio a Laval, in Francia, quartier generale di Lactalis. «Temiamo un intervento pesante tra ottobre e la fine dell'anno a Collecchio» afferma Luce Ferrari segretario generale della Flai a Parma. «Se questo accadrà - aggiunge - sarà la conferma che i francesi non hanno intenzione di lasciare la "testa" di Parmalat in Italia. La favoletta dei tempi dell'opa è finita».

Come hanno ricordato i sindacati nell'incontro, mentre era in corso l'opa «Lactalis aveva dichiarato di valutare l'opportunità di far confluire in Parmalat le proprie attività nel settore del latte confezionato» e hanno chiesto come le affermazioni di allora possano conciliarsi con le scelte di oggi.

Intanto, nonostante la maniacale riservatezza in puro stile Lactalis che ormai caratterizza anche Parmalat (l'ufficio comunicazione «non dispone» di informazioni sul numero di dipendenti di ciascun stabilimento italiano) continuano a trapelare i dettagli del piano targato Lactalis. Una buona notizia è che gli impianti Parmalat cominceranno a produrre latte anche per le marche private della grande distribuzione, cosa che l'azienda di Collecchio non aveva mai fatto prima. Questo dovrebbe servire a far recuperare volumi, anche se con margini ridotti.

Come era prevedibile, proseguiranno le sinergie con Lactalis: dopo Italatte, la centrale unica di acquisto del latte che consente significative economie di scala, si dovrebbe intervenire sulla distribuzione in cui Lactalis, con Galbani, ha una capillarità e un'efficienza che potrebbero far comodo anche per i marchi Parmalat. Da quello che si sa, però, la risposta del mercato ai test effettuati finora non è stata entusiasmante.

Infine gli investimenti. Dei 60 milioni annunciati solo 32 sono destinati a rinnovare gli impianti e saranno effettuati in due anni e non in uno solo: meno due milioni all'anno per ogni impianto, considerato che dopo le tre chiusure annunciate e salvo altre razionalizzazioni, resteranno attivi in Italia solo nove stabilimenti. Gli altri 28 milioni saranno spesi in operazioni di marketing.

Nell'incontro di Roma è emersa tutta la preoccupazione del ministro Corrado Passera - che attraverso il suo rappresentante ha chiesto di incontrare direttamente i Besnier - garbatamente irritato per l'acquisizione di Lactalis Usa: «Il MiSe - si legge nel verbale - è preoccupato per il modo in cui le risorse accumulate siano state usate per un'acquisizione infragruppo e auspica che le altre risorse vengano utilizzate per allargare il perimetro del gruppo».

Twitter:@chigiu

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