Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 10 luglio 2012 alle ore 11:00.
L'ultima modifica è del 10 luglio 2012 alle ore 11:00.

My24
Cina, campagna acquisti nel business dei consumiCina, campagna acquisti nel business dei consumi

Cereali per la prima colazione in Inghilterra. Yacht di lusso in Italia. Pompe meccaniche in Germania.

La campagna acquisti della Cina in giro per il mondo prosegue a ritmo forsennato. Ma inizia a cambiare pelle. Sebbene la gran parte dell'attività di Merger & Acquisition oltrefrontiera delle società cinesi sia sempre indirizzata verso i settori dell'energia e delle materie prime, sono sempre di più le operazioni che coinvolgono aziende straniere (anche di medie dimensioni) attive nel settore del largo consumo, proprietarie di marchi famosi, titolari di sofisticate tecnologie, o operanti in produzioni manifatturiere di nicchia e ad alto valore aggiunto.

Il momento non potrebbe essere migliore. Da un lato, c'è un Paese che ha in cassa ben 3.300 miliardi di dollari di riserve valutarie ed è sostenuto da un Governo che, ormai da oltre un decennio, promuove la campagna del «Go Global», incentivando con ogni mezzo le aziende nazionali a fare shopping sui mercati esteri. Dall'altro, c'è il vecchio mondo industrializzato nel bel mezzo di una profonda crisi sistemica che si ritrova a corto di idee. E di soldi.

Insomma, una combinazione perfetta. E i cospicui flussi di capitali in continua uscita dalla Cina a caccia di prede straniere sono lì a dimostrarlo. Nel solo primo trimestre del 2012, gli investimenti diretti cinesi all'estero nei settori non-finanziari sono quasi raddoppiati: +95% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, pari a un totale di 16,6 miliardi di dollari. Circa il 40% di questa enorme massa di denaro, cioè 6,2 miliardi di dollari, è stata impiegata in operazioni di Merger and Acquisition.

Il 98% di queste ultime ha avuto come obiettivo pozzi petroliferi, giacimenti di risorse naturali, materie prime. Il che spiega perché il 92% delle acquisizioni realizzate all'estero da Pechino abbia avuto come protagoniste le grandi aziende di Stato. E spiega anche perché le principali destinazioni degli investimenti cinesi siano state Africa e Sud America.

Ma è in quel 2% residuo che, sotto il profilo strategico, sta la parte più interessante dello shopping estero cinese. Soprattutto dal punto di vista europeo. Oggi, infatti, il Vecchio Continente è la meta privilegiata delle aziende cinesi desiderose di accaparrarsi un marchio famoso, oppure un prodotto o una tecnologia non replicabile tra le mura di casa.

E sono disposte a pagarli fior di soldi. È così che, dopo aver fallito un paio di anni fa la scalata a United Biscuits, la scorsa primavera il colosso agroalimentare Bright Food si è accontentato di un boccone più piccolo e ha acquisito il 60% di Weetabix, uno dei marchi di cereali da colazione più noti al mondo, sulla base di una valutazione complessiva della società inglese di 1,5 miliardi di euro.

Qualche mese prima, Sany Heavy Industry si era aggiudicata il 90% di Putzmeister, il principale produttore tedesco di pompe per il cemento, per 325 milioni di euro. E il gruppo Shandong Heavy Industries aveva salvato dal fallimento gli storici cantieri navali Ferretti mettendo sul tavolo 400 milioni di euro.

Nella loro ricerca spasmodica di tutto ciò che scarseggia in patria (marchi, tecnologie, know how, brevetti, reti di distribuzione, strutture logistiche), per gli acquirenti cinesi l'Europa indebitata e assetata di capitali è diventata una sorta di Mecca dello shopping industriale. Uno shopping assecondato entusiasticamente dai Governi, le amministrazioni locali e le associazioni di categoria europei, che ormai fanno a gara per attirare gli investimenti di Pechino.

Il fenomeno potrebbe essere solo all'inizio. Complice la drammatica crisi che attanaglia l'Eurozona, secondo le previsioni di Rhodium Group, i 10 miliardi di dollari sborsati l'anno scorso dal Dragone per acquisire aziende europee (il triplo rispetto al 2010) in futuro sono destinati a moltiplicarsi a un tasso esponenziale. Con il risultato che, entro il 2020, lo stock complessivo di investimenti cinesi in Europa potrebbe raggiungere un ammontare compreso tra 250 e 500 miliardi di dollari.

Una cifra enorme. Che, qualora arrivasse davvero tra il Baltico e il Mediterraneo, avrebbe un suo inevitabile corollario: un bel pezzo del Vecchio Continente sarebbe nelle mani dei nuovi capitalisti cinesi.

Il tempo dirà se per l'Italia e per l'Europa vendere (se non svendere) frettolosamente a un padrone lontano e sconosciuto pezzi importanti della propria industria, faticosamente assemblati nell'arco di 150 anni, sia stata una scelta saggia, oculata e lungimirante.

Commenta la notizia

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi