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Questo articolo è stato pubblicato il 14 luglio 2012 alle ore 09:31.

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I mercati hanno capito. E hanno ignorato la notizia. Troppo esagerata la decisione di Moody's di declassare "due volte" il debito dell'Italia. La speranza, ora, è che questo atteggiamento continui. Perché è solo attraverso i mercati finanziari che il downgrade di ieri può avere un impatto anche sull'economia reale. «Se le cose continueranno così - spiega Fabio Fois della Barclays - gli effetti non dovrebbero essere significativi nel brevissimo termine».

Se le reazioni dei mercati dovessero peggiorare, la decisione di Moody's potrebbe colpire l'economia reale attraverso tre canali. Il primo riguarda direttamente le banche: un declassamento può ridurre il valore dei loro assets, e fa apparire più rischiosi i loro portafogli. Può così aumentare i loro costi di finanziamento, mentre riduce la loro propensione al rischio. Per questa via, si può ridurre la loro volontà a finanziare investimenti "reali" che pure sono limitati. La tendenza è già evidente nella storia recente. Non è un caso che i tassi di interesse siano aumentati, e di molto, negli ultimi mesi: quelli nominali medi con garanzia reale e personale a imprese non finanziarie sono saliti dal 2,74% di giugno 2010 al 4,78% di febbraio per poi leggermente calare - dopo le maxi operazioni di liquidità della Bce - al 4,46 per cento. C'è un forte legame, infatti, tra spread e il costo di finanziamento delle imprese. «Gli spread sui titoli di stato e i tassi sui prestiti alle aziende si sono mossi insieme», spiega una recentissima ricerca di Edda Zoli del Fondo monetario internazionale. L'effetto non è immediato ma è rapido: «Il 30-40% dell'aumento dello spread si trasmette ai tassi sui prestiti entro tre mesi - prosegue Zoli - e la trasmissione è quasi completa entro sei mesi, sia per i grandi che i piccoli prestiti».

Attraverso lo spread, una ricaduta di questo downgrade avrebbe potuto - e potrebbe ancora, in caso di "effetti ritardati" - pesare ulteriormente sui rapporti tra banche e imprese. È anche vero, spiega però Fois, che «tutta la liquidità in circolazione può fare da cuscinetto a questo downgrade, che è uno shock esogeno».

L'altro canale è sulla business confidence, la fiducia degli imprenditori «sia nel manifatturiero che nei servizi», aggiunge Fois. È qualcosa di impalpabile, ma è questa che definisce la domanda di prestiti. «E ormai, aggiunge Loredana Federico di Unicredit - la fiducia è ai livelli della precedente recessione». Per questa via «potrebbe inoltre ridursi la propensione a investire nel Sud Europa da parte delle imprese estere», spiega ancora l'analista della Barclays.

Non va dimenticato, poi, il canale fiscale. «Se il downgrade fosse un segnale di una progressiva mancanza di fiducia, potrebbe aumentare il costo di finanziamento sui titoli di Stato - spiega Federico - e questo potrebbe ricreare il loop negativo tra austerità e crescita», potrebbero cioò risultare necessarie manovre correttive tali da deprimere i consumi. È anche vero, continua l'economista, che il governo ha ben definito i suoi obiettivi e potrebbe non aver bisogno, in ogni caso, di inasprire davvero la sua politica fiscale: «È un evento, questo, al quale attribuiamo una bassa probabilità».

Molto dipenderà allora da cosa succederà nei prossimi giorni. La prima reazione dei mercati sembra incoraggiante: non hanno creduto alla Moody's. Perché, ricorda più di un economista, declassare il paese sottolineando allo stesso tempo la possibilità che «la competitività del paese e la crescita potenziale nel breve termine»? Non va dimenticato che, per un mercato enorme come quello italiano, la agenzie di rating non sono l'unica fonte di informazione. Senza contare, conclude Federico, «i BTp sono ancora un investment grade»: è solo quando si perde questa qualità, e si diventa titoli ad alto rendimento, o junk bond, che scattano le conseguenze più dure; e l'Italia è "ancora" due gradini più in alto.

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