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Questo articolo è stato pubblicato il 26 luglio 2012 alle ore 11:12.

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Il Giappone divide l'Europa, che a ottobre deve prendere la più delicata decisione nella storia delle relazioni bilaterali nel dire sì o no alle avances del Sol Levante. Il continental divide tra Nord e Sud riguarda l'atteggiamento verso i negoziati di libero scambio: il 18 luglio la Commissione Ue ha chiesto il mandato per avviare le trattative di Free Trade agreement (Fta).

La palla passa agli Stati membri, che dovranno dare o meno luce verde in sede di Consiglio, al quale spetta di conferire l'investitura alla Commissione: Tokyo si attende l'ok al vertice bilaterale di ottobre. Il Consiglio può decidere a maggioranza qualificata degli stati membri, ma non è mai successo che una trattativa commerciale sia stata avviata senza l'unanimità dei consensi.
Gli schieramenti. Il fronte del Nord (favorevole) è capitanato dal Regno Unito e si estende dalla Scandinavia all'Olanda. Tra i contrari si evidenziano l'Italia e la Francia, che di recente ha irrigidito la sua posizione in parallelo all'esplodere della crisi della sua industria automobilistica (mentre prima era più aperturista nel desiderio di apertura del public procurement nipponico).

Arbitro riluttante la Germania, dove il ministero dell'Economia mugugna e quello degli Esteri è favorevole, mentre Bruxelles fa da propulsore. «Se la crescita nei prossimi 20 anni è destinata a venire dall'Asia, sarebbe un grave errore nella nostra strategia commerciale trascurare il Giappone», ha detto il Commissario al commercio Karel De Gucht, che ha aggiunto stime secondo cui «un Fta con il Giappone spingerebbe l'economia europea dello 0,8% e l'export verso il Giappone del 32,7%, con la creazione di 420mila posti di lavoro in Europa». De Gucht ha elencato i settori europei favorevoli all'accordo: agroalimentare e bevande, farma, chimica, Ict, consegne espresse, industria dei servizi. E ha evidenziato due paletti: se il Giappone non farà chiari progressi nello smantellamento delle barriere non tariffarie, la Ue non ridurrà alcun dazio all'import, settore auto incluso, e prima ancora potrà interrompere le trattative tra un anno.

Tokyo preme. L'Fta con la Ue è una priorità del governo giapponese, tanto più che la prospettiva di unirsi ai negoziati Tpp (che includono gli Usa) sta incontrando un ostacolo altissimo nei veti del settore agricolo. Tokyo si è mobilitata con una serie di pressioni politiche, diplomatiche, finanziarie e psicologiche, lasciando arieggiare qualche velata minaccia di ritorsione. «Cari europei, avete fatto l'Fta con la Corea, il che ci penalizza sul vostro mercato. Non potere rifiutarvi di trattare con noi, tanto più che siamo stati i più generosi nell'aiutare il fondo salvastati e la dotazione dell'Fmi: potremmo diventare meno entusiasti in proposito. Anche altri dossier, come il rafforzamento delle collaborazioni nella Difesa, andrebbero in stallo, mentre i nostri investimenti diminuirebbero. Sulle vostre preoccupazioni stiamo mostrando progressi e buona fede, ma non potete spostare l'asticella sempre più in alto prima ancora di iniziare una trattativa comunque lunga»: questa la posizione di Tokyo.

Le obiezioni. Non c'è da dubitare sulla volontà del premier Noda di promuovere una deregulation, come ha enfatizzato nello sposare le raccomandazioni della "Revitalization Unit" istituita per rilanciare l'economia. Ma Noda probabilmente non mangerà il panettone e non c'è nulla di nuovo che sia vincolante per una burocrazia nota per la maestria nell'insabbiamento. Quanto alla Commissione, i maligni fanno notare che, nella geometria del potere di Bruxelles, la novità è il tentativo di "accreditamento" autonomo presso Usa, Cina, e Giappone delle istituzioni nate dal Trattato di Lisbona: Tokyo non ha mai preso sul serio la Ashton o Van Rompuy come interlocutori ma fa capire che potrà farlo se sarà aiutata sul fronte Fta. Ridotta all'osso, la questione torna al nocciolo duro: la Ue toglierebbe le tariffe del 10% su auto e elettronica in cambio della promessa di rimozione delle barriere non tariffare che frenano gli operatori esteri in un Giappone che pure ha dazi zero su questi prodotti.

«La difficoltà è che mentre i dazi si tolgono in un momento e diventa politicamente impossibile reintrodurli, lo smantellamento non-tariffario è molto più complicato e in parte aleatorio, oltre che soggetto di fatto al rischio di intermittenti reversibilità», afferma l'ambasciatore a Tokyo Vincenzo Petrone. La crisi dell'auto europea fa il resto. Ma non è stato Marchionne ad alzare di più la voce: lui ha fatto notare che già l'Fta con la Corea ha avvantaggiato troppo i sudcoreani (ieri il ministro dell'industria francese ha ipotizzato di chiederne una revisione dicendo che nelle piccole vetture diesel l'import è aumentato del 1000% l'anno). L'associazione dei costruttori Acea afferma che non è il caso di dare ai giapponesi uno sconto di 1,2 miliardi l'anno, 1.500 euro a vettura, quando in ogni caso gli europei in futuro venderanno meno auto in Giappone a causa del trend di mercato e demografico. A sorpresa, è stata l'americana Ford a tuonare che l'Fta «metterebbe in pericolo quasi 12 milioni di posti nell'automotive europeo». L'Fta è «assurdo», infine, per i più strenui fautori dei negoziati multilaterali Wto, come Jean-Pierre Lehman dell'Evian Group, secondo cui pianterebbe il chiodo finale nella bara del Doha Round.

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