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Questo articolo è stato pubblicato il 03 agosto 2012 alle ore 06:41.

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Mirafiori è il cuore del problema. E le parole di Sergio Marchionne su un rallentamento degli investimenti sono rimbalzate tutto il giorno tra dichiarazioni e rassicurazioni. Getta acqua sul fuoco Luigi Angeletti, segretario della Uil: «Non c'è nulla di cui essere preoccupati. Marchionne non ha cambiato opinione nè sulla strategia nè sul futuro». Ma la preoccupazione c'è e non si nasconde: «I lavoratori della Fiat e di Mirafiori hanno dato prova, anche attraverso un sofferto referendum, di disponibilità – sottolinea in una nota l'arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia – e si trovano da tempo in cassa integrazione. È dunque giusto e doveroso che possano presto tornare a un lavoro stabile come più volte è stato loro promesso». Da Roma, il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera assicura: «È un settore che seguiamo con grande attenzione».

Giorgio Airaudo, responsabile Auto per la Fiom, parla di lenta agonia per lo stabilimento, Roberto Di Maulo, Fismic, ribadisce che «Mirafiori è lo stabilimento più in pericolo perchè è quello che fa meno auto». Con tutte le ripercussioni che i tempi lunghi dell'investimento potrebbero avere su occupazione e indotto. Un settore, quello della componentistica, che ha registrato nel 2011 una minore "dipendenza" da casa Fiat rispetto al passato e che resiste come può, anche se in Piemonte fa più fatica che altrove. «Certamente i principali fornitori Fiat seguono la casa madre in Polonia, Brasile, Stati Uniti, dall'altro lato molte aziende della componentistica – sottolinea Alessandro Barberis, presidente della Camera di commercio di Torino – stanno facendo uno sforzo per diversificare e incrementare l'export. Certo è che risentono oggi della crisi del mercato europeo».

La chiave del problema sta nell'export e nella capacità di fare squadra fuori dall'Italia. Secondo il censimento fatto dall'Osservatorio sulla filiera autoveicolare, continua l'apertura di stabilimenti all'estero da parte di imprese medio-grandi: dal 2010 al 2012 sono stati 22 (10 piemontesi), tra loro Comec e Sigit. Usa, Serbia, Polonia e, domani, chissà, anche la Cina. Queste le frontiere diventate basi operative per molte imprese. È il caso della Teoresi, società specializzata in tool tecnologici per la produzione e sviluppo nei settori automotive – il 40% del fatturato – ferroviario e aerospazio. «L'effetto americano è stato positivo per l'azienda – racconta l'ad Giuseppe Santangelo – siamo cresciuti a 200 addetti e puntiamo a un fatturato negli Usa tra il milione e mezzo e i due milioni di dollari». Il viaggio Oltreoceano della Teoresi – tra i clienti principali Crysler e GM – è cominciato da Detroit e poi si è allargato a Chigago e alla Pennsylvania. «Il mercato americano – aggiunge Santangelo – va visto come un supporto, anche perché l'ingegneria italiana rappresenta un'eccellenza rispetto alla statunitense». È invece ancora un rapporto da pendolari quello della Sila con gli Usa: «Lavoriamo con GM, per la quale siamo fornitori in Asia e America Latina, e stiamo trattando con Chrysler – racconta Edoardo Brero, ad di Sila Holding, azienda di Nichelino che realizza comandi cambio –. I nostri ingegneri, in questa fase, lavorano via conference call e viaggi. Sulla presenza in loco ci stiamo pensando, ma i tempi non sono maturi».

«Per la nostra filiera è fondamentale non dipendere da un solo committente» riprende Barberis. Export e diversificazione, appunto. E la tendenza è in atto: per la prima volta il numero degli esportatori ha superato il numero dei fornitori del Gruppo Fiat, soprattutto in Piemonte (84 a 79%). Aumenta dunque il peso dell'export, a cui il comparto si aggrappa sempre più. Rappresenta quasi il 50% dei ricavi della filiera piemontese, il 60% di quella italiana.
Ma il processo è complesso. Trecento aziende negli ultimi tre anni hanno chiuso i battenti, il 31% del campione intervistato dall'Osservatorio ha rivelato un calo dei fatturati fino al 20% e oltre, con un'azienda su due che ha fatto ricorso alla cassa integrazione, percentuale che in Piemonte schizza al 75 per cento. La difficoltà dell'indotto a riposizionarsi sta tutto in queste cifre. Ma la strada sembra segnata. Con il progetto From Concept to car, nato in seno alla Camera di commercio, «possiamo vantare la lungimiranza di aver incoraggiato le nostre Pmi a cercare nuovi clienti, offrendo sostegno operativo e organizzativo in anni non sospetti, fin dal 2003» conclude Barberis. Ieri un'opportuntà, oggi un'ancora di salvezza.

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