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Questo articolo è stato pubblicato il 04 agosto 2012 alle ore 08:16.

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ROMA
Senza sbloccare il patto di stabilità, non si rimetteranno in moto i pagamenti. Ne sono convinti molti imprenditori edili alle prese con crediti che non riescono a riscuotere. «Le norme e gli accordi – afferma Antonio Pinca, titolare della Nuova Fise di Galatone (Lecce), azienda specializzata in segnaletica e barriere stradali – fissano solo regole per la certificazione del debito della Pa. Direttive inutili, visto che gli enti hanno tutto il carteggio del lavoro aggiudicato, controllato, eseguito e fatturato. Quindi devono dare solo l'ordine alla banca di pagare, cosa che però non avviene».
Il nodo da sciogliere riguarda proprio l'impossibilità di spesa: «I decreti – continua Pinca – non correggono le storture del patto di stabilità, per cui un ente può trovarsi con un mutuo finanziato dalla Cassa depositi e prestiti, per il quale rimborsa le rate, ma non può spendere per pagare le imprese che hanno fatto i lavori e che si sono indebitate con le banche». Denunce concrete. «Stiamo vivendo una situazione simile con il Comune di Misinto per un impianto fotovoltaico da 450mila euro. Avevamo chiesto un anticipo di 200mila euro per chiudere il mese, ce ne hanno proposti 20mila dopo lunghissime contrattazioni. Ma alla fine anche qui si è fermato tutto in attesa di una risposta della Cdp».
L'altra difficoltà insostenibile per le imprese ha riguardato finora i tempi burocratici: «L'iter per la certificazione del credito – continua l'imprenditore pugliese – può durare anche due mesi, ma a sua conclusione i soldi tarderanno ancora. Le aziende hanno bisogno di liquidità immediata. Io contesto il decreto perché bisogna attendere 60 giorni per la certificazione e 60 per il pagamento: in quattro mesi io ho già chiuso per fallimento, visto che sono esposto con le banche e che ho dato in garanzia assegni per pagare fornitori e materiali. Servono provvedimenti dirompenti, certi, trasparenti e immediati, ma bisogna soprattutto sbloccare il patto di stabilità, anche per pochi mesi e prevedere la cessione del debito da parte dell'ente invece che la certificazione del credito da parte dell'impresa».
La strada dei decreti ingiuntivi l'ha già percorsa da anni Giampiero Vargiu, titolare della Icogen di Cagliari. Uno dei casi limite, andato a buon fine per l'impresa che si occupa dal 1979 di opere stradali, idrauliche, edili e impiantistiche, coinvolge un comune della provincia di Nuoro: «L'ente – dichiara Vargiu – mi doveva 29mila euro per un lavoro per il quale il direttore dei lavori non aveva emesso lo stato di avanzamento, quindi non avevo neanche la fattura. Ho fatto causa con i documenti in mio possesso e il perito del tribunale ha calcolato l'ammontare del mio credito. Dopo la sentenza di vittoria è scattato il decreto ingiuntivo al Comune che però non ha pagato per il patto. Il passo successivo è stato il sequestro della tesoreria del Comune e quindi il pignoramento presso la banca delle somme definite in sentenza. L'istituto, obbligato per legge dal decreto ingiuntivo, mi ha comunicato l'importo che aveva il comune in tesoreria (624.558 euro) e mi ha chiesto il calcolo degli interessi maturati dalla sentenza alla data del pagamento. Definito l'importo, arrivato a 48mila euro, non ho fatto altro che attendere che il giudice disponesse il pagamento da parte della banca. L'istituto che gestiva la tesoreria ci ha quindi comunicato, dopo aver descritto lo stato delle finanze del Comune, che era a disposizione per saldare la somma decisa dal giudice».
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