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Questo articolo è stato pubblicato il 07 agosto 2012 alle ore 08:48.
L'ultima modifica è del 07 agosto 2012 alle ore 09:56.

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La miglior politica industriale è la conoscenza. È questa la convinzione che guida il nuovo viaggio del Sole 24 Ore nei distretti industriali. Con l'idea di fondo che, a 20 anni dal primo grande reportage sui poli produttivi italiani, sia ancora poco conosciuta la realtà puntiforme dell'Italia produttiva. Perché lavora, senza clamori, senza colpi d'immagine. Punta alla fatica della sostanza.

Parlare dei distretti industriali – come insegna Giacomo Becattini, primo scopritore di questa realtà manifatturiera che non ha paragoni nel mondo – significa calibrare al meglio la spinta spontanea della gemmazione del business con la necessità di creare l'habitat istituzionale, sociale e fisico più adatto allo sviluppo di quelle particelle di capitalismo, vitali per il rilancio dell'intero Paese.

La via degli incentivi alla creazione delle reti d'impresa, proiettate a diffondere una cultura distrettuale capillare e non necessariamente legata a particolari aree territoriali, è stata la strada maestra per calibrare forme di aiuto allo sviluppo. Ma la sfida per l'attore pubblico in tema di incentivi alle imprese distrettuali è più ampia: il distretto è una comunità di piccole imprese che ha il potenziale di azione di una mini-multinazionale se solo si riuscisse a ottimizzarne gli aspetti burocratici, fiscali, di gestione dell'export. Con l'inevitabile attenzione all'alleggerimento del peso delle imposte ormai insostenibili per chi già subisca duri colpi con il dumping dei concorrenti asiatici su costi di produzioni fuori da ogni standard di civiltà occidentale.

Sono già stati fatti alcuni tentativi – come i bond di distretto – ma non hanno ancora avuto risultati tangibili e davvero incisivi. Non è un buon motivo per non ritentare con strumenti più raffinati e meglio tarati sulle nuove realtà (che questo stesso "viaggio" del Sole 24 Ore contribuirà a delineare).

I distretti industriali, nati per attecchimento spontaneo, senza regìa se non quella del trasferimento di cultura d'impresa da laboratorio a laboratorio, da officina a officina, sono chiamati a una nuova sfida: l'epopea del "piccolo è bello" è superata ed è cognizione comune che sia addirittura un disvalore in un mondo dove la globalizzazione impone una confrontation crudele, dove la dimensione d'impresa e la forza d'urto delle economie di scala sono cruciali. Ai distretti spetta dimostrare, ancora una volta, che tante pmi aggregate, consapevolemente e volontariamente, in reti sinergiche possono "fare la differenza" e competere su scala globale anche con colossi più concentrati. La speranza, all'esordio di questo viaggio-inchiesta è che possa continuare ad essere proprio la formula del distretto a garantire flessibilità interna e capacità di assorbimento degli shock esterni, più difficili da realizzare in realtà più grandi e rigide.

Ai nuovi distretti servono talenti e capacità di acquisire know how internazionale attraverso il monitoraggio delle competenze globali nei settori di appartenenza. Il capitale umano, come sempre nell'impresa, è tutto. Ed è per questo che diventa fondamentale l'apporto pubblico attraverso una formazione approfondita e calibrata sulle necessità tecniche di quell'area o di quella filiera di business. Lo sviluppo degli istituti tecnici legati alla vocazione dei territori è fondamentale così come lo è la specializzazione delle università e il loro ruolo di agenti di innovazione per le Pmi.

Superata la fase pionieristica dei distretti, è cruciale anche la capacità di acquisire nuovi brevetti e di tipo internazionale. Resta necessario evitare l'impatto brutale di una burocrazia cresciuta negli anni secondo una paradossale cultura anti-impresa; è cruciale poter contare su una coesione sociale – come è stato finora – tutta fondata sulla condivisione delle sfide produttive e sull'idea comunitaria di un sapere industriale unitario e non conflittuale.

Ogni zona, ogni filiera, ogni brevetto porta con sè i germi unici di un'eccellenza irripetibile e non clonabile: la messa a sistema di queste eccellenze spontanee è il compito primo dell'attore pubblico e del decisore politico. Noi cercheremo di rendere visibile ciò che ancora non è osservato, ciò che è dato per scontato e, paradossalmente, non "fa notizia" pur essendo spina dorsale di un intero modello di sviluppo. Un'Italia industriale, operosa e silente, che ogni mattina si sveglia e combatte battaglie globali e campali; un esercito del "fare bene" forse inconsapevole della sua stessa, eccezionale, consistenza.

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