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Questo articolo è stato pubblicato il 22 agosto 2012 alle ore 06:40.

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Secondo Rolfo è il direttore (succeduto a Gian Maria Gros-Pietro) del Ceris-Cnr di Moncalieri, l'organismo finalizzato allo studio dell'economia applicata e dell'impresa. Come dire: poca finanza e molta industria, un termine che sta tornando faticosamente di moda dopo l'ubriacatura - ancora affatto smaltita - delle varie bolle bancarie che hanno coinvolto il pianeta.
Dottor Rolfo, quali sensazione ricava da queste classifiche elaborate dal Centro studi Reed business information Italia per Tecnologie Meccaniche?
Dividerei le considerazioni in due parti, quelle sul versante interno e quelle del confronto europeo.
Iniziamo dalle prime.
Dobbiamo dire che, ancora una volta grazie all'export, il fatturato italiano è aumentato del 18% nel 2011. Un risultato buono, con una generalizzata ripresa, ma inferiore a quelli ottenuti dai concorrenti. Anche perché il mercato interno stenta a riprendersi.
Come è cambiata la classifica italiana rispetto ai colossi europei?
È proprio qui che cominciano le preoccupazioni: dobbiamo riflettere seriamente. Basti pensare che la produzione tedesca e quella svizzera sono cresciute di oltre il 35 per cento.
E in questo scenario, peraltro abbastanza diffuso nei molti punti di eccellenza del nostro sistema produttivo, il made in Italy come si è comportato?
Per fortuna la quota italiana sull'export mondiale è rimasta stabile (9,5%) grazie appunto all'incremento delle vendite oltre confine del 30 per cento. Ma l'export tedesco verso il Nord-America è cresciuto del 71%, quello verso la Francia del 59% e del 34% in direzione della Cina. Inoltre l'industria tedesca ha potuto contare su una domanda interna cresciuta del 41% grazie soprattutto alla ripresa dell'auto.
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