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Questo articolo è stato pubblicato il 25 agosto 2012 alle ore 09:27.

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Nella foto una veduta panoramica del CairoNella foto una veduta panoramica del Cairo

Al Marocco che offre più garanzie, sei miliardi e due; alla Giordania due miliardi. Il Fondo monetario internazionale aiuta le Primavere arabe ad affrontare la parte economica dei loro problemi. Manca però il Paese più importante. È passato un anno da quando l'Fmi aveva offerto all'Egitto un aiuto da 3,2 miliardi di dollari. Ma i militari prima e i Fratelli musulmani poi, non si decidevano ad accettare né a rifiutare.
Ora, stabilito chi comanda al Cairo e nominato un nuovo Governo, è l'Egitto a chiedere un accordo al Fondo; e Christine Lagarde, il direttore dell'Fmi, è subito arrivata al Cairo con una nuova offerta di credito molto superiore: 4,8 miliardi. «A Dio piacendo», spiega Hisham Qandli, il premier scelto dal presidente Mohamed Morsi, entrambi della fratellanza islamica, il finanziamento destinato a coprire il deficit di bilancio, potrebbe incominciare ad essere sborsato da dicembre: credito a cinque anni, «periodo di grazia» di 39 mesi al tasso dell'1,1 per cento.

«Il fallimento in Egitto potrebbe spingere gli altri Paesi della Regione a rinunciare all'idea delle riforme democratiche», dice uno studio del Carnegie Endowment di Washington. Si farebbero strada nuove forme di autoritarismo, islamista o militare che sia. L'aspetto economico del terremoto mediorientale è fondamentale perché le riforme politiche si realizzino. Ma il debito egiziano superiore all'80% del Pil e un deficit di bilancio all'8,6 nel 2012, non sono sostenibili.
Solo il 15% circa del debito pubblico è esterno, il resto è tutto interno. I resort del Mar Rosso hanno ricominciato a riempirsi di turisti ma è molto presto per parlare di ripresa e non è questo che basta per smuovere la stagnazione egiziana.
C'era un aspetto patriottico nelle reticenze egiziane. E ce n'è uno più concreto: per elargire l'aiuto, il Fondo richiede una riforma dei sussidi che sono il 78% della spesa pubblica nell'ultimo bilancio.

Il 20% degli egiziani vive al di sotto della linea di povertà, un altro 20 leggermente al di sopra: è socialmente pericoloso rinunciare a grano e carburante a prezzi politici. Anche se uno studio della Banca mondiale aveva rilevato che meno della metà dei sussidi raggiungeva i più poveri.
Un decennio fa la Giordania aveva dimostrato che era possibile rinunciare ai sussidi, sostituendoli con programmi sociali diversi ed economicamente più propositivi. La riduzione dei sussidi permetterebbe di trovare il denaro per lo sviluppo agricolo dell'Alto Egitto, la parte più povera del Paese. Ma per il nuovo presidente e il nuovo premier islamisti è politicamente difficile intraprendere quella strada.
Il Fondo monetario chiede anche riforme economiche più estese e un rilancio del l'iniziativa privata. Militari e fratellanza hanno raggiunto un compromesso politico ma l'Egitto vive ancora di "spirito rivoluzionario". Tutto quello che è business privato, è sinonimo di corruzione: è visto come collaborazionismo col vecchio regime di Hosni Mubarak. Nei tribunali sono in esame 6mila casi di corruzione nei confronti d'imprese egiziane e straniere.

L'ipotetica via d'uscita alla quale pensava Mohamed Morsi è l'alternativa araba al Fondo monetario. L'Arabia Saudita ha promesso un piano di assistenza da 4,5 miliardi di dollari: parte in contanti e parte come sostegno al Bilancio. Per ora si sono materializzati meno di un miliardo e mezzo. I sauditi che hanno appena stanziato 130 miliardi di sussidi per anticipare un'eventuale Primavera anche a casa loro, non porrà mai all'Egitto le condizioni dell'Fmi. Se si sommano tutte le promesse d'aiuto arabo, comprese quelle di Qatar, Emirati e Kuwait, il totale è di 18 miliardi di dollari.
Anche Morsi tuttavia sa che gli impegni economici dei Paesi del Golfo sono raramente mantenuti. I due miliardi di dollari regalati dal l'emiro al-Thani del Qatar, nella sua ultima visita al Cairo, sono come un'elargizione straordinaria, non un piano di aiuti.
A maggio il G-8 aveva ribadito gli impegni presi già l'anno prima, al vertice precedente: 20 miliardi, una parte dei quali destinati alla Tunisia. La Bers, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, si è impegnata per 3,5 miliardi l'anno; la Ue per 1,7 ma da dividere fra 16 Paesi. I singoli, in mezzo alla crisi del l'euro, preferiscono fare sconti. Come la Germania che ha cancellato un quarto del suo credito all'Egitto.

Se il nuovo Governo accetterà l'offerta del Fondo, compresa dunque la richiesta di riforme, sarebbe un segnale importante anche per il G-8 e i singoli Paesi occidentali storicamente investitori in Egitto, come l'Italia. Il problema è che l'Egitto è un Paese molto polarizzato: laici contro religiosi, il regime e i rivoluzionari, destre e sinistre. Soprattutto islamisti e militari.
Fratelli musulmani e forze armate, infatti, hanno visioni contrapposte anche sull'economia. Gli islamisti credono nel libero mercato e propugnano il ruolo centrale del settore privato; i militari egiziani sono gli ultimi socialisti del Medio Oriente.
Anche ai tempi delle riforme del vecchio regime, i generali si erano sempre opposti allo smantellamento dei grandi agglomerati industriali statali. La gran parte del sistema produttivo egiziano ancora pubblico appartiene ai militari: controllano in esclusiva e in gran segreto di bilanci, circa il 15% dell'economia nazionale. La voglia di Fondo monetario mostrata ora da Morsi è un segnale in più del rafforzamento del suo potere sui generali.

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