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Questo articolo è stato pubblicato il 29 agosto 2012 alle ore 08:55.

All'uscita di Cavaria, sulla parete di un capannone campegggia l'insegna "Fulgor", pare un buon auspicio.

Ma è un'illusione. Gli imbianchini si rifiutano di cancellarla senza un cantiere protetto, che in autostrada ha costi rilevanti. Così, mentre la produzione di bilance qui è cessata da anni l'insegna rimane, in memoria di un passato glorioso, che vedeva il distretto varesino della pesatura al top in Italia e ai primi posti nel mondo.

Vent'anni fa si concentrava qui il 70% della produzione nazionale di mezzi di pesatura, 60 milioni di euro di ricavi e decine di aziende per oltre mille addetti diretti. Numeri oggi scesi drasticamente, con il distretto che occupa poco più di 600 addetti, con ricavi scesi a meno di un terzo del totale nazionale. E mentre in 20 anni la produzione italiana di bilance e affettatrici (altro punto di forza dell'area), quadruplicava a 431 milioni, per la provincia il bilancio dei ricavi è un magro +35%, al di sotto dell'inflazione di periodo.

La sintesi del cambiamento ce la fornisce l'assessore alle attività produttive di Oggiona con S.Stefano, cuore del distretto. «Stiamo diventando un paese dormitorio – spiega Maurizio Regata – ogni giorno da qui si spostano per lavorare 1.075 persone, vent'anni fa erano la metà».

Scorrendo l'elenco dei "big" di allora si trovano in effetti molti caduti e pochi superstiti, con un processo di concentrazione che ha accorpato molti marchi riducendo però gli addetti e spostando altrove quel che restava delle aziende vendute o liquidate. Omega, che contava 120 addetti, ha venduto e si è trasferita, in parte a Napoli in parte a Bologna; Fulgor è passata a Ibr, ora a sua volta passata alla milanese DataProcess; Suprema ha chiuso, così come Santo Stefano, terza realtà del distretto 20 anni fa, anch'essa rilevata dalla milanese DataProcess mentre Zenith è stata comprata da Italiana Macchi. «Guardi, non prendo appuntamenti – ci spiega al telefono un dipendente della Arsa – entro fine anno chiudiamo, sono rimasto solo io».

Respingere l'assalto dei prodotti poveri – raccontava 20 anni fa al Sole 24 Ore un imprenditore – sarà difficile.

E così è stato. Il primo colpevole del declino è l'elettronica. Fino agli anni '80 la tecnologia era quasi esclusivamente meccanica, e qui il distretto non aveva rivali. Poi arrivò la cella di carico, un sistema di sensori che traduce in impulsi elettronici le deformazioni di un metallo, affrancando definitivamente il mondo delle bilance dalla tradizione semi-artigiana per inserirlo a pieno titolo nelle produzioni in grande serie con meno meccanica e più tecnologia. L'Italia ha adottato solo nel '93 questo sistema, in ritardo di dieci anni rispetto ai concorrenti esteri, creando un progressivo gap tecnologico per le nostre aziende e tagliandole progressivamente fuori dai mercati esteri, un tempo sbocco per il 70% dei ricavi, quota crollata ora al 10-20%.

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