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Questo articolo è stato pubblicato il 29 agosto 2012 alle ore 08:55.

«Sulla fascia bassa di prodotto – spiega Stefano Macchi – in effetti la Cina oggi è un problema, esportiamo solo il 10% dei ricavi anche perché non siamo competitivi sui prezzi». La sua azienda, l'Italiana Macchi, è l'ultimo "campione" rimasto a produrre sul territorio, 49 addetti e dieci milioni di ricavi, esattamente la stessa cifra fatturata 20 anni fa, quando però il personale era quasi il triplo.
Sui conti dell'azienda pesa anche l'altro nodo del settore: il lento ma progressivo ridimensionamento del dettaglio tradizionale. Ogni anno in Italia chiudono migliaia di attività, mentre la grande distribuzione è "preda" quasi esclusiva della tedesca Bizerba. «E tra i piccoli – aggiunge Macchi – nessuno investe più, preferiscono riparare l'esistente oppure comprare prodotti low-cost dalla Cina».
Sulla concorrenza di Pechino il disagio e le proteste dei produttori sono unanimi. Non tanto e non solo per l'impossibilità di competere sui prezzi, quanto piuttosto per la mancanza di regole e l'utilizzo diffuso di prodotti non omologati e privi di certificazioni. Comufficio, associazione dei prodotti Ict, lamenta un proliferare di prodotti illegali e chiede verifiche annuali, funzioni ispettive delle Camere di Commercio, privatizzazione dei laboratori preposti alle azioni di controllo. «Le leggi ci sono – osserva Roberto Balzi di Eurobil – ma nessuno le fa rispettare. Io per fare una prova e ottenere l'ok dal Ministero spendo 20mila euro e aspetto un anno, e poi vedo nei negozi prodotti senza omologazione, con pesature, diciamo così, "allegre". E fate i controlli, ostia!».
Balzi si accalora, anche se la sua Eurobil è tra chi se la cava meglio: cinque milioni di ricavi, crescita del 10% nel 2012, 20 addetti di cui due assunti lo scorso anno. Il target è sugli ambulanti, con la produzione di bilance a batteria e investimenti in nuovi stampi per fornire prodotti sempre più compatti. L'export vale il 20%, «siamo appena partiti», e tra i paesi serviti spicca Cuba, con la fornitura di carri-ponte per la pesatura dei treni. «Sa – spiega Balzi – il Governo lì vuole fare molti controlli..».
Al declino del dettaglio tradizionale altre aziende hanno reagito concentrandosi sull'industria e sulla produzione ad-hoc. La Odeca di Cavaria, 2,5 milioni di vendite e 17 addetti, ha un ciclo integrato con carpenteria e verniciatura interne. «Posso fare una bilancia anche in tre giorni – spiega Mauro Valli – per me la flessibilità è essenziale per restare a galla». Il prodotto è customizzato sia nella meccanica che nell'elettronica e il listino è corposo, con centinaia di prodotti e varianti. Di listini in realtà ne vediamo due, l'altro è di prodotti cinesi. «Se mi chiedono una bilancia standard – spiega Valli – fornisco questi prodotti selezionati e omologati, in un certo senso è la Cina "buona". Però per me questo vale solo il 10% dei ricavi». Il dubbio se restare produttori o diventare distributori sfruttando rete commerciale e know-how in effetti è presente in più di un'azienda. L'unica alternativa, per chi può permetterselo, è la strada dell'innovazione. Odeca presenterà ad esempio a breve un sistema che colleghi le bilance all'iPad mentre Sipi, 25 addetti e tre milioni di ricavi, si allea con il Politecnico di Milano per studiare un modo per misurare in contemporanea sui pallet peso e volume degli oggetti.
L'azienda divide il suo business tra bilance e sistemi industriali di movimentazione merci, con clienti nel settore auto, nel tessile, nella meccanica o nell'alimentare. Ma anche tra le Polizie, con la Spagna che ha appena comprato una pesa "portatile" per camion, adatta ad essere trasportata in un baule. La necessità, per tutti, è quella di presidiare la fascia alta di gamma per smarcarsi dalla concorrenza cinese. «Per Ferrero – spiega Carlo Clerici – abbiamo studiato un sistema per pesare le sorprese degli ovetti, in modo da scartare quelli incompleti ed evitare la delusione dei bambini: la tolleranza è di un decimo di grammo».
Ma la tecnologia richiede risorse, dunque dimensioni adeguate. Ed è qui che il distretto fatica, con le aziende familiari restie a muoversi, ancora ai primi passi nella ricerca di allenze. Dataprocess e Minerva Omega, cioè Milano e Bologna, hanno fatto incetta di marchi e aziende in difficoltà, mentre qui nessuno è stato in grado di svilupparsi e creare un polo di attrazione nazionale. L'ultimo trasloco coinvolge Ibr, che sposterà alle porte di Milano 35 degli attuali 45 addetti per poi chiudere la sede locale. Qualcosa ora si muove, ma sono piccoli passi: Sipi sta finalizzando un accordo di integrazione proprio in queste settimane mentre Alfa Bilici, 10 addetti e 1,5 milioni di ricavi, ha realizzato una doppia joint venture nei pesa camion e nel software, aggiungendo già i due nomi all'insegna aziendale.
Anche per il "big" del territorio Italiana Macchi la "solitudine" era diventata un peso e così l'azienda prima ha integrato le bilance Zenith, poi ha acquisito il 41% di Oms, attiva nelle affettatrici con 3,8 milioni di ricavi. Ma ancora non basta. «La strada è quella – spiega Macchi –, fusioni o joint venture. Con alcuni colleghi ne parlo da anni ma quando chiedo di farmi vedere i numeri si ferma tutto. A un imprenditore ho detto, guarda che se non fai qualcosa tra poco chiudi. Vero, mi ha risposto, ma se vendo a te io poi cosa faccio?».
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