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Questo articolo è stato pubblicato il 05 settembre 2012 alle ore 06:41.

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PORTOVESME. Dal nostro inviato
A Carbonia Iglesias qualcuno, già oggi, fa la fame. E non è un modo di dire. Per l'Istat, nel 2010, il tasso di disoccupazione era del 19,1%, il secondo più alto in Italia. Nel 2009 si fermava all'11,8 per cento. Quasi la metà. Il 17 giugno un rapporto dei carabinieri raccontava di un furto di cento chili di cipolle. E non si contano le denunce nei supermercati. «Mangiano il cibo vicino agli scaffali, prima della cassa. Così se li scopri si giustificano dicendo che avrebbero pagato dopo. Gli episodi sono raddoppiati nell'ultimo anno», racconta Nino Flore, responsabile locale del gruppo E. Leclerc Conad, due ipermercati e due supermercati. È in questa situazione esplosiva che si colloca una delle peggiori crisi industriali italiane, con la disperazione che spinge tre operai dell'Alcoa a salire su un silos a settanta metri di altezza. In questa terra, che con il carbone ben rappresenta il fallimento di una uscita razionale e onorevole dallo Stato Padrone e con l'alluminio l'impossibilità di conservare un presidio nell'industria di base, in pochi chilometri si trovano le miniere mantenute in vita (per ora) artificialmente e l'Alcoa, una storia intricata in cui la prima cosa certa è che gli americani se ne vanno. E la seconda è che, qui, il tasso di disoccupazione potrebbe salire a livelli greci. Le speranze, ormai ridotte al lumicino dopo le parole di Passera, riguardano la possibilità che la Glencore, richiamata dal Governo quando il fondo Aurelius si è sfilato, ottenga un prezzo calmierato dell'energia e, poi, formuli una offerta. Tutto molto complicato, in una vicenda in cui si intrecciano la dimensione locale e le logiche internazionali. La Glencore è una multinazionale che, a Portovesme, controlla la Portovesme Srl. Non una impresa qualsiasi. Piuttosto, in uno scenario sociale devastato dalla disoccupazione e a rischio di una definitiva desertificazione industriale, l'unica azienda siderurgica che ha un suo equilibrio. Nei mesi scorsi ha fatto un po' di cassintegrazione (150 addetti, a rotazione). Ma, anche grazie all'inserimento nel più ampio corpo produttivo e finanziario della multinazionale, la sua attuale condizione ha il carattere della fisiologia, non della patologia. Ha 680 occupati, a cui se ne aggiungono 800 nell'indotto. La Portovesme Srl lavora il piombo, lo zinco e i pani di Cadmio. Alcoa fa alluminio. Il segmento produttivo non è lo stesso. Anche se il clima sulla vicenda da ieri si è incupito, bisognerà capire se alla capogruppo Glencore, che peraltro a inizio primavera ha avuto accesso alla data room finanziaria e industriale di Alcoa Italia, potrebbe davvero interessare uno sviluppo non perfettamente in linea con il suo core business. E bisognerà anche verificare quanto, in un meccanismo complesso come quello che si è di nuovo attivato poche settimane fa, peserà sulle scelte di Glencore il ruolo di Carlo Lolliri, ragioniere e amministratore delegato della Portovesme Srl, vera eminenza grigia del potere di questa provincia italiana, ottimi rapporti in Vaticano (è diacono e commendatore dell'Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme) e una perfetta equidistanza dai politici più influenti di Carbonia Iglesias (Giorgio Oppi, ex Dc ora Udc, Antonello Cabras, ex Psi ora Pd e Salvatore Cherchi, ex Pci ora Pd). Di certo, al di là degli equilibri locale-internazionale interni alla Glencore, oggi la Portovesme Srl usa molta meno energia di Alcoa. Dunque, per rilevare lo stabilimento super-energivoro, evitando così la disoccupazione certa ai 501 dipendenti diretti di Alcoa e, a cascata, ai 300 indiretti, la vuole pagare meno. Questo lo sanno tutti. Al di là degli ultimi negoziati, sul cui andamento si è espresso Passera con parole che sanno di rintocco funebre, da subito Glencore avrebbe pensato ad altre due condizioni: non avrebbe intenzione di sostenere alcun impegno finanziario per l'acquisizione della consociata italiana di Alcoa e vorrebbe tenere soltanto una parte dei dipendenti. Anche se il ministro dello Sviluppo economico avesse per una volta ecceduto in pessimismo, il tema della disoccupazione non sarebbe del tutto cancellato, nemmeno in caso di un epilogo a sorpresa positivo. Altre famiglie senza reddito, in quella che sembra assumere sempre più l'inquietante profilo della polveriera d'Italia.
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