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Questo articolo è stato pubblicato il 13 settembre 2012 alle ore 06:41.


MILANO.
Gli industriali di Monza e Brianza non ci stanno a passare per collusi con le cosche e omertosi con la Giustizia e le Forze dell'ordine dopo l'operazione Ulisse con la quale la Procura distrettuale antimafia di Milano ha smantellato ieri una rete della 'ndrangheta.
La forza di 60mila imprese e la loro ribellione a ogni forma di connivenza è stata portata a sintesi da Renato Cerioli, presidente della locale Confindustria, che ha dialogato a distanza anche con la coordinatrice della Direzione distrettuale antimafia, Ilda Boccassini. «Credo che le parole del pm siano state riprese in modo strumentale dalla stampa - ha esordito Cerioli - e parlare di classe imprenditoriale collusa con i clan è fuori luogo e fuorviante. Nel nostro territorio come in altri in Lombardia sono stati accertati episodi di infilitrazioni mafiose legati purtroppo ad alcuni settori della vita pubblica e ad alcune imprese circoscritte a specifici settori economici ma esistono importanti anticorpi che sono alla base degli importanti successi che la magistratura e le forze dell'ordine hanno consguito in questi ultimi anni nel nostro territorio».
Pochi casi e limitati insomma - soprattutto se paragonati alla forza dei numeri delle imprese - e comunque combattuti da sempre da Confindustria, in una linea di continuità che è patrimonio da anni. A leggere l'ordinanza - in vero - si leggono storie che vanno nella direzione descritta da Cerioli. Quella che più colpisce è la storia di Roberto Gioffrè. Nel ferragosto 2010 - mentre la maggior parte degli italiani festeggia fuoriporta - lui, calabrese trapiantato a Giussano, decide di passare il ferragosto dai carabinieri di Monza, dove presenta una denuncia-querela.
E cosa denuncia? Che lui - all'epoca dei fatti socio del "Casinò Royale Texas Hold'em" di Paina di Giussano - aveva subito un'estorsione da parte di Rocco Cristello (già arrestato a luglio 2010 e raggiunto da un altro ordine di arresto l'11 settembre), dai fratelli Giuseppe e Giovanni Brenna e altri soggetti identiticati in Claudio Formica, Filippo Trapani, Francesco Cristello e Francesco Elia (anche loro arrestati nell'operazione Ulisse).
Secondo la ricostruzione offerta ai Carabinieri da Roberto Gioffrè nella querela e nelle successive sommarie informazioni rese il 20 maggio 2011, la cricca, con minacce ed intimidazioni, era riuscita ad estorcergli il corrispettivo della cessione della proprietà del locale, ottenendo quale ulteriore provento la consegna dei mobili che arredavano la casa dello stesso Gioffrè.
«Roberto Gioffrè - si legge a pagina 161 dell'ordinanza firmata il 4 settembre dal Gip Andrea Ghinetti - ha scelto di denunciare i fatti correndo un rischio personale che lo ha portato a temere talmente tanto per sè e per i suoi familiari da decidere di lasciare il Paese per trasferirsi all'estero».
Gioffrè racconterà infatti ai carabinieri che aveva già deciso di trasferirsi all'estero (decisione che le minacce avevano reso più urgente) e che, in mancanza di denaro liquido, la cessione dei mobili di casa costituiva la soluzione meno gravosa.
I mobili - per la cronaca - vennero prelevati da uno degli arrestati, con un furgone bianco e sempre per la cronaca la "locale" di Giussano (vale a dire una "cellula" di 'ndrangheta strutturata gerarchicamente e militarmente) è direttamente collegata alle "locali" di Guardavalle, Monasterace e Stignano (Catanzaro), con a capo Vincenzo Galace, Andrea Ruga e Cosimo Leuzzi. La "locale" di Giussano fu riattivata nella primavera 2008 per volere di Vincenzo Gallace, con il parere favorevole di tutti i vertici della "Lombardia" all'epoca rappresentata da Carmelo Novella, ucciso a San Vittore Olona il 14 luglio 2008.
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robertogalullo.blog.ilsole24ore.com
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L'OPERAZIONE

L'iniziativa della Dda
Martedì 11 settembre,
per iniziativa della Direzione distrettuale antimafia (Dda) coordinata dalla pm Ilda Boccassini (nella foto) sono stati eseguiti 37 arresti tra Monza e Milano. È l'operazione "Ulisse"
La sferzata
Contestualmente il giudice Boccassini ha sottolineato
la scarsa propensione degli imprenditori, in gran parte di origini calabresi, a denunciare minacce, attentati, telefonate minatorie della malavita

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