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Questo articolo è stato pubblicato il 21 settembre 2012 alle ore 06:43.

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TARANTO
Disco rosso. I custodi giudiziali bocciano il piano Ilva da 400 milioni di euro per i primi interventi immediati nel siderurgico alfine di ridurne l'inquinamento e ora il procuratore capo della Repubblica, Franco Sebastio, si accinge a formalizzare - probabilmente già oggi - il verdetto negativo. Da vedere però se risponderà all'Ilva oppure invierà tutto al gip Patrizia Todisco che ha firmato l'ordinanza di sequestro. A meno di nuovi sviluppi, si torna quindi alla direttiva che i custodi lunedì hanno trasmesso all'azienda per lo spegnimento e il rifacimento di una serie di impianti tra altiforni, cokerie e acciaierie.
In verità era nell'aria che da Palazzo di Giustizia arrivasse un responso sfavorevole. Ricevuto lunedì scorso il piano dal presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante, la Procura l'ha subito trasmesso ai custodi - che in questa vicenda sono i consulenti tecnici dei magistrati - perchè l'analizzassero e facessero conoscere il loro parere.
Ieri in un vertice gli ingegneri Barbara Valenzano, Emanuela Laterza e Claudio Lofrumento hanno consegnato al procuratore capo, Franco Sebastio, una relazione nella quale, sostanzialmente, il piano Ilva verrebbe definito insufficiente rispetto alla situazione esistente. Fonti della Procura, invece, fanno un accostamento fra il piano Ilva e quanto contenuto negli atti d'intesa che, negli anni scorsi, la stessa Ilva ha firmato con i governi regionali per sottolineare come, in alcuni casi, si tratti di interventi già annunciati e rimasti sulla carta.
La notizia del nuovo altolà dei custodi - non nuovi in verità a bocciare gli interventi proposti dall'azienda - arriva anche all'Ilva che però sceglie di non commentarla, almeno per ora. «Non rispondiamo a quelle che per ora sono indiscrezioni, nè ai custodi - affermano fonti Ilva -. Aspettiamo il responso del procuratore che per noi è quello che conta. Se confermerà queste cose, è ovvio che prenderemo posizione».
L'Ilva aveva presentato un piano che riguarda cokerie (con fermo delle battere 5 e 6), altiforni 1 e 2 (con fermata dell'1 e installazione di sistemi di depolverazione su entrambi), agglomerato (anche qui sistemi di depolverazione) e acciaieria 1 (chiusura e copertura del tetto e filtro da 3,2 milioni di metri cubi l'ora per contrastare lo slopping, nuvole rossastre piene di polvere di ferro). Avvio nell'anno, conclusione di molti interventi tra il 2013 e il 2014. Previsto anche uno studio, da farsi in 15 mesi e affidato alla Paul Wurth, per stabilire tecnicamente se i parchi minerali che si estendono per 75 ettari si possono coprire o meno.
Duplice l'obiettivo del piano, al quale l'Ilva, dice Ferrante, avrebbe poi aggiunto gli interventi dell'Autorizzazione integrata ambientale mobilitando altri soldi: dare un segnale alla Procura, ottenere l'ok ad «una minima capacità produttiva» che viene reputata indispensabile, e fermare il piano dei custodi che blocca gran parte della fabbrica, cominciando dall'altoforno 1 e dalle batterie 9-10 - che l'Ilva dichiara già in ristrutturazione - e 5-6. Invece quest'ultimo piano adesso andrà avanti, tant'è che ieri sera i custodi hanno notificato all'azienda un sollecito a procedere per l'altoforno 1 e le batterie 5-6. Inoltre, venendo meno la possibilità di una «capacità produttiva minima» si aprono anche scenari critici per quanto riguarda l'occupazione.
«Il fatto che i custodi giudiziali e la Procura abbiano espresso una valutazione negativa sul progetto Ilva conferma che lunedì avevamo visto giusto - sostiene Cosimo Panarelli, segretario Fim Cisl -. Già allora abbiamo detto al presidente Ferrante che il piano era inadeguato a fronte dei problemi presenti, e che l'Ilva avrebbe fatto bene a recepire tutte le indicazioni della Magistratura e a presentare un piano in quella direzione, chiedendo poi alla Procura una parziale facoltà d'uso, una capacità produttiva minima e il necessario tempo per realizzare gli investimenti e gli ammodernamenti. Adesso auspichiamo che l'Ilva non faccia colpi di mano e non assuma provvedimenti sul personale. Sarebbe grave se ciò avvenisse. Piuttosto - aggiunge Panarelli - l'Ilva presenti un nuovo piano oppure attenda il rilascio dell'Autorizzazione integrata ambientale per fare tutto ciò che è necessario per lo stabilimento». «La situazione si complica - rileva Antonio Talò, segretario Uilm -. È sperabile che ci sia un cronoprogramma anche nelle fermate per non mettere definitivamente ko la fabbrica». Infine sono state depositate l'altro ieri al Tar di Lecce le motivazioni, peraltro già note, con cui i giudici amministrativi il 12 luglio hanno respinto l'ordinanza del sindaco di Taranto, Ezio Stefàno, che imponeva una stretta all'Ilva obbligandola a una serie di adeguamenti. L'ordinanza si fa in situazioni di urgenza, dice il Tar, mentre qui non si palesa «l'insorgenza improvvisa di una situazione di danno alla salute della collettività», questione che «nella sua complessità» è già al vaglio delle autorità come dimostra anche la riapertura dell'Autorizzazione integrata ambientale.
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