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Questo articolo è stato pubblicato il 28 settembre 2012 alle ore 15:05.
C'è stato un tempo, tra il 2000 e il 2007, in cui Estonia, Lettonia e Lituania avevano il più alto tasso di crescita in Europa, tanto da meritarsi l'appellativo di Tigri baltiche. Poi è arrivata la crisi, che in economie piccole e orientate all'esterno, ha causato flessioni pesanti, tra il 14 e il 18% del Pil nel 2009.
Oggi si assiste a una ripresa generalizzata, con tassi di crescita compresi tra il 5,5% e il 7,6% nel 2011 e stimati tra il 2 e il 4% quest'anno, grazie a un'attenta politica pro-business e a una posizione privilegiata, che consente di compensare la flessione della domanda europea con gli sbocchi garantiti dal mercato russo, molto più dinamico. Il rafforzamento dei legami con l'Eurozona - l'Estonia ha adottato l'euro nel 2011, Lettonia e Lituania dovrebbero entrare nel 2014 o 2016 - agevola inoltre gli scambi commerciali con i 17 Paesi membri.
«La posizione geografica - spiega Alessandro Natili, responsabile dell'International Desk di UniCredit nei Paesi baltici (il gruppo è attivo in tutte e tre le repubbliche) - è uno dei principali vantaggi per le aziende che operano nell'area, vista la vicinanza a mercati ricchi: Scandinavia, Russia, Polonia. È una sorta di hub logistico specializzato nel traffico di transito. I tre Paesi non vanno considerati tanto come singoli mercati (di dimensioni peraltro ridotte, ndr), quanto come porta di ingresso privilegiata per Scandinavia e Russia. Sfruttando anche l'efficienza delle infrastrutture: ottime connessioni ferroviarie, porti di rilievo».
Tra i porti merita una menzione particolare quello di Riga, che - pregio non trascurabile a quelle latitudini - rimane libero dal ghiaccio tutto l'anno. «È il porto della Ue più vicino a Mosca - spiega l'ambasciatore italiano in Lettonia, Giovanni Polizzi - transito di tutte le merci che dalla zona nordica e baltica vogliono raggiungere Russia e Asia centrale. Da qui passano anche molte merci da e per l'Afghanistan, compresi gli equipaggiamenti delle forze Nato; è un corridoio che potrebbe diventare una rotta commerciale. Vista la posizione strategica che entrambi occupano - aggiunge l'ambasciatore - è emerso l'interesse del Porto di Cagliari per avviare una collaborazione con quello di Riga».
Tornando ai vantaggi per chi investe nei Paesi baltici, non si può non citare il basso livello di imposizione fiscale: aliquote tra il 21 e il 25% per i redditi individuali, tra il 15 e il 20% per le società, con la detassazione di tutti i profitti reinvestiti in azienda. Lettonia e Lituania, poi, offrono zone economiche libere (Riga, Ventspils, Liepaja e Rezekne in Lettonia; Klaipeda e Kaunas in Lituania), con esenzione completa dalle tasse per i primi cinque anni di attività.
Fattore di sicuro interesse per chi fa impresa è il mercato del lavoro baltico. «Il costo del lavoro - spiega ancora Natili - è molto basso rispetto all'Europa (il salario minimo mensile non supera i 280 euro, ndr), la forza lavoro è istruita (parlano in media tre lingue) e specializzata, anche se insufficiente a coprire il fabbisogno, e c'è un basso livello di sindacalizzazione».
Tra i settori più dinamici si segnalano industria del legno e prodotti agricoli, trasporti e logistica, catene di alimentari, elettronica e information technology in genere: basti pensare che l'Estonia ha dato i natali a Skype e ospita il quartier generale della Nato contro la cyber-war.
Per tutti e tre i Paesi baltici i legami più forti, commerciali e in termini di investimenti, sono con Scandinavia, Russia, Germania e Polonia. L'Italia ha un interscambio (con saldo positivo) che va dai 470 milioni con la Lettonia al miliardo circa con la Lituania e una presenza finora abbastanza limitata, forse per la distanza, le dimensioni piccole dei tre mercati e il reddito medio piuttosto basso: si contano 200-250 aziende iscritte, per lo più Pmi e qualche grande gruppo (Luxottica, Menarini, Marazzi, Marzotto, Benetton, Ferrero).
Il quadro però mostra segnali di cambiamento, come conferma l'ambasciatore Polizzi, almeno per la Lettonia: «C'è un crescendo di interesse da parte delle nostre imprese, favorito anche dai legami - soprattutto culturali - che esistono tra i due Paesi; quasi tutti i giorni riceviamo richieste di informazioni dall'Italia nei settori più disparati. Richieste a cui cerchiamo di far fronte, con le risorse che abbiamo, per sostenere il nostro Paese attraverso una vera e propria "diplomazia per la crescita"». «Ci sono margini di sviluppo in settori tipicamente italiani - aggiunge Natili -: beni strumentali di investimento, macchinari per rinnovare la struttura produttiva di questi Paesi. Ci sono spazi anche nell'industria pesante e nell'acciaio. Alle nostre imprese serve solo un po' di coraggio in più».
I rischi e le criticità dell'area baltica non sono, stando agli operatori, particolarmente elevati: il settore bancario, molto legato a quello nordico, è solido; rimangono qualche lentezza nelle procedure legali e amministrative per costituire le società e una mentalità che - almeno nelle vecchie generazioni - mostra ancora il retaggio dell'epoca socialista, restando un po' distante dallo spirito dell'economia di mercato.
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