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Questo articolo è stato pubblicato il 02 ottobre 2012 alle ore 06:44.

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TARANTO
Effetto domino. La vicenda Ilva e l'impatto ambientale del siderurgico si ripercuotono sugli altri investimenti industriali che a Taranto sono sulla rampa di lancio e spingono il Consiglio comunale ad approvare all'unanimità un ordine del giorno che frena i progetti di Tempa Rossa, Eni, Cementir e nuovi inceneritori. La richiesta del Consiglio al sindaco Ezio Stefàno è esplicita: «Sospensione cautelativa dei pareri e delle autorizzazioni rilasciate dall'Amministrazione comunale, dalla Regione Puglia e dal ministero dell'Ambiente». L'alt è contenuto in un documento che riassume le proposte della maggioranza di centrosinistra, di Dante Capriulo di «Noi Democratici» e di Angelo Bonelli di «Ecologisti per Taranto Respira». L'ordine del giorno chiede anche altre tre cose: che per l'Autorizzazione integrata ambientale all'Ilva si tenga conto dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 59 del 2005, «ovvero le migliori tecnologie in assoluto e non le migliori tecnologie disponibili»; che nell'Aia siano inseriti i «dati epidemiologici del progetto Sentieri dell'Istituto superiore di Sanità, della Procura di Taranto e quello pubblicato nell'ultima rivista Prevenzione e epidemiologia»; infine che ai proprietari di immobili nelle aree Tamburi, Paolo VI, Città vecchia e Borgo, tutte esposte all'inquinamento, siano rivisti gli estimi catastali per arrivare a un'Imu più leggera, compensando il minor gettito con un aumento della dote finanziaria del decreto legge sulla bonifica dell'area di Taranto già approvato dalla Camera e ora inviato al Senato.
Ma è il semaforo rosso ai nuovi progetti industriali il dato rilevante. Il sindaco motiva l'odg con la necessità di non alimentare divisioni tra le forze politiche «essendo importante l'unità della città e delle istituzioni in un momento difficile». E così rischiano di subire ritardi o, peggio, di restare al palo investimenti per complessivi 600 milioni su cui le imprese fanno parecchio affidamento. Sono infatti 190 i milioni che il gruppo Cementir ha dichiarato da mesi di voler investire a Taranto per ammodernare lo stabilimento. Poi ci sono i 300 milioni di Tempa Rossa, l'appendice logistica del giacimento petrolifero della Basilicata il cui progetto generale è stato autorizzato a marzo dal Cipe. In particolare a Taranto si tratta di costruire due serbatoi da 180mila metri cubi per stoccare il greggio, ampliare il pontile della raffineria Eni e supportare l'aumento del traffico da 45 a 140 navi l'anno. Ma anche la nuova centrale della raffineria, sebbene il progetto sia già stato ridimensionato da 240 Mw a 105 Mw di potenza per tagliare le emissioni di anidride carbonica, potrebbe finire sotto tiro. E sarebbe un altro centinaio di milioni a rischio. L'impressione è che il Consiglio comunale abbia voluto assumere una posizione del genere prestando attenzione più alle proteste della piazza e al clamore dell'ala radicale degli ambientalisti che a una serena disamina della situazione. In particolare su Tempa Rossa è stato votato anche un ulteriore odg, proposto dal Pd, che chiede la riapertura dell'Aia concessa all'Eni considerando «oltre alla valutazione del danno sanitario, anche quella relativa al rischio di incidente rilevante».
E ieri il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, ha richiamato di nuovo il caso Ilva. «Se chiude Taranto – dice Squinzi – per il Paese sarà un disastro. Ragioniamo di una perdita che incide per 8 miliardi di euro sulla bilancia commerciale e quindi porterebbe a un peggioramento del Pil». «Il caso Ilva – afferma Squinzi – è il più emblematico della difficoltà di fare impresa nel nostro Paese. La famiglia Riva ha comperato un'attività in grandissima difficoltà, l'ha rimessa a posto, ha investito, dovrà investire ancora, ma ora è importante non perdere questa azienda». Mentre il ministro dell'Ambiente, Corrado Clini, ribadisce che la procedura dell'Aia all'Ilva si deve chiudere il 17 ottobre. «Le richieste degli ultimi giorni per un rinvio, che puntano ad aprire una trattativa sui contenuti del provvedimento, non sono giustificabili, nè accettabili» sottolinea Clini.
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