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Questo articolo è stato pubblicato il 04 ottobre 2012 alle ore 10:38.

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Una politica generosa di sussidi e incentivi che ha dato slancio all'industria cinese delle rinnovabili ma anche sollevato le proteste di Stati Uniti e Unione europea, che accusano Pechino di concorrenza sleale.
È questo il quadro regolamentare e fiscale del green business in Cina.

Uno degli strumenti principali di incentivazione riguarda la corporate income tax, l'imposta sul reddito delle imprese. Un'aliquota ridotta al 15% (quella standard è del 25%) è prevista per imprese che operano nelle nuove tecnologie, comprese quelle legate alle rinnovabili. Sgravi superiori sono previsti per i progetti che rientrano nel quadro del Clean Development Mechanism (Cdm), il programma del protocollo di Kyoto che attribuisce certificati «verdi» vendibili sul mercato alle aziende che riducono le emissioni nocive nei Paesi in via di sviluppo. Una parte di questi progetti può godere di un'esenzione di tre anni dall'imposta societaria seguita da una riduzione del 50% nei successivi tre.

Anche l'Iva può essere soggetta a sconti e agevolazioni. Un rimborso del 50% è previsto nei casi di vendita di energia proveniente da fonti eoliche, rimborso che sale al 100% dalla vendita di certe categorie di biodiesel.

C'è poi un nutrito capitolo di sussidi, quelli che più irritano Ue e Stati Uniti, erogati sia a livello centrale che locale. Per ogni tonnellata di carbone risparmiato è previsto un contributo di 240 yuan (circa 30 euro). (R.Es.)

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