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Questo articolo è stato pubblicato il 05 ottobre 2012 alle ore 09:58.

Allo stesso tempo, però, il giro d'affari di ciascuna azienda è cresciuto. Nel 1991, sempre considerando la realtà del distretto del design e del mobile, ogni azienda sviluppava in media 443mila euro di fatturato. Una cifra salita a 580mila nel 2001 e poi scesa a 528mila nel 2011. Al di là della flessione dell'anno scorso, sul cui valore hanno influito due anni di recessione, nell'arco di vent'anni si è riscontrato un incremento del 20 per cento. La tendenza virtuosa di medio periodo è confermata anche dai dati raccolti per provincia. Un criterio più esteso, ma comunque significativo. Sempre stando all'ufficio studi della Camera di commercio di Monza e Brianza, infatti, nel 1991 l'export del mobile e dei prodotti da arredamento per Monza, Milano e Como valeva 666 milioni di euro. Dieci anni dopo è salito a oltre 1,6 miliardi. Nel 2011 si è attestato a 1,8 miliardi. In vent'anni, un incremento del 170 per cento.

Allo stesso tempo, per mostrare come questo processo di incremento di produttività abbia comportato non solo una razionalizzazione del tessuto produttivo con la chiusura di molte aziende, ma anche un aumento dell'efficienza interna di quante sono sopravvissute e stanno prosperando, è utile constatare come, sempre nelle tre province lombarde, nel 1991 gli addetti fossero 36.544, calati nel 2001 a 28.687 e ulteriormente scesi, nel 2011, a 22.139. Dunque, a fronte di una maggiore capacità di muoversi sui mercati internazionali e ad un tendenziale incremento dell'attività, si può evincere che l'impresa media abbia trovato la misura di una maggiore produttività.

C'è la questione delle performance industriali. E c'è il nodo della identità strategica di questo comparto, che ha costituito uno dei motori economici e culturali del nostro Paese. Con un problema di elaborazione del passato e di costruzione del futuro. Di memoria e di strategia.

L'epos è fondato negli anni Cinquanta e Sessanta da un tappezziere di Meda, come si autodefiniva Cesare Cassina. Cassina, ogni sabato pomeriggio, incontrava Gio Ponti nella sua casa a Meda, pianificando l'attività dell'azienda dei mesi successivi. Accordi officiati secondo il rito lombardo di allora: una stretta di mano, tanto che uno degli oggetti più emozionanti del design industriale moderno, la Sedia Superleggera, nel 1957 non ebbe nemmeno bisogno della stesura di un contratto scritto, bastava la parola fra il brianzolo che si esprimeva a fatica in italiano e il severo cosmopolita milanese. Cassina, per mostrarne ai clienti la robustezza, lanciava le Superleggere dal primo piano del suo stabilimento. Dieci anni dopo, a partire dalla fine degli anni Sessanta, avrebbe dato un milione di lire al mese a Gaetano Pesce per non fare nulla o, meglio, per fare ricerca. Una capacità di investire sulle idee e sulle persone che rappresenta la risorsa principale del capitale sociale della Brianza.

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