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Questo articolo è stato pubblicato il 16 ottobre 2012 alle ore 06:46.

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VERONA. Dal nostro inviato
«La differenza? Qui per passare dall'idea alla produzione ci sono voluti sette anni. Là appena dieci mesi». Il "qui" che Gian Luca Rana ci indica dalla finestra del suo ufficio è il nuovo stabilimento nella sede centrale di S.Giovanni Lupatoto, alle porte di Verona. Il "là" è invece l'impianto appena aperto negli Stati Uniti, 80 milioni di dollari investiti per produrre oltreatlantico pasta fresca e sughi. «Le ruspe sono partite ad agosto 2011 – spiega l'ad del gruppo alimentare – e prima dell'estate successiva eravamo già partiti. Ecco il limite dell'Italia, l'incapacità di mettere la burocrazia al servizio delle imprese: l'ampliamento di questo stabilimento era pronto da tempo, mancavano solo le ultime autorizzazioni. Che però hanno bloccato per anni l'assunzione di almeno cento addetti, inconcepibile di questi tempi». Meglio, molto meglio la burocrazia a stelle e strisce, con la licenza ottenuta in quindici giorni, sgravi fiscali per i neoassunti, il Governatore dell'Illinois che chiama Rana per chiedere se c'è bisogno di qualcosa, «qui invece – sospira l'ad – non è che i politici mi telefonino proprio spesso per vedere come va». Il nuovo sito avviato a Bartlett nei pressi di Chicago occupa un'area di 14mila metri quadri ed è una tappa cruciale nella strategia del gruppo. Già il prossimo anno fatturerà 100 milioni di dollari, un quinto dei volumi attuali della società, con prospettive di raddoppio in tre anni. Gli addetti saliranno progressivamente a quota 150 e presto si lavorerà a ciclo continuo su tre turni, mentre su base commerciale e di marketing si lavora ai nuovi contratti con la distribuzione locale e alla nuova campagna pubblicitaria che prevede un budget annuo tra i 10 e i 15 milioni di dollari. «I target iniziali sono già stati raddoppiati sulla base degli ordini ricevuti – spiega Rana – ma le potenzialità sono ancora maggiori e il mercato vale due miliardi di dollari: la scommessa è arrivare in cinque anni a superare ciò che facciamo in Europa». L'impianto, finanziato per un terzo dal gruppo e per due terzi dal sistema bancario italiano (Mps, Unicredit e Bnl) imprime una brusca accelerazione al grado di internazionalizzazione dell'aziendale, forte già oggi di una quota di export che sfiora il 54% dei ricavi, più del doppio rispetto al 1999. L'apertura coinvolge l'Italia sotto svariati aspetti, come l'acquisto di macchinari made in Italy, l'esportazione diretta di alcune componenti alimentari "qualificanti" come prosciutto, parmigiano o basilico, l'assunzione in prospettiva di altro personale. «È la strada dello sviluppo – chiarisce Rana –, non ovviamente una delocalizzazione, perché lavorando con il fresco l'export può arrivare solo a distanze ridotte. Si tratta di un modo per ampliare la nostra prospettiva globale: restare qui non basta più, occorre uscire dal localismo ed evitare di dipendere da un solo mercato».
Percorso corroborato dai risultati, che fotografano l'azienda a 374 milioni di ricavi, con una crescita media annua del 14% dal 1984. Vendite che si traducono anche in un incremento degli occupati, saliti a quasi 1.200 unità in Italia ed Europa, più del doppio rispetto al 2005 anche grazie all'avvio di 28 ristoranti diretti in Italia e altri otto all'estero. «Certo, fare profitti è essenziale – aggiunge Rana – ma poter dare lavoro ad un numero maggiore di persone è la mia soddisfazione principale, ben più importante rispetto al fatto di avere qualche milione di margine in più». Giriamo tra gli impianti, vediamo ravioli e tortellini prodotti a ciclo continuo, 24 ore su 24, osserviamo i lavoratori che si muovono tra le macchine. Almeno un centinaio di loro ha dovuto rinunciare a qualche anno di stipendio. Non per mancanza di opportunità, ma perché l'amministrazione pubblica di Bartlett, Illinois, qui in Italia non ha ancora aperto una filiale.
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