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Questo articolo è stato pubblicato il 19 ottobre 2012 alle ore 06:45.

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MILANO
Le cucine Berloni congelano la crisi e tentano di risalire la china. La società, lo scorso 15 ottobre, ha chiesto al tribunale fallimentare di Pesaro di accedere al concordato preventivo, quello con "continuità aziendale" previsto dal decreto Sviluppo. In questo modo la società blocca i decreti ingiuntivi dei creditori e la società ha 60-120 giorni di tempo per presentare al giudice un piano credibile di rilancio, la cessione di ramo di azienda o anche l'ingresso di un socio con risorse fresche.
Una soluzione, quella del partner (sia esso un produttore o un investore finanziario), difficile, anche se non impossibile per la notorietà del marchio, a causa di una crisi di mercato devastante che si aggiunge all'emergenza finanziaria. In realtà da tempo la società versa in condizioni critiche: l'anno scorso la decisione di riconcentrarsi sul core business, quindi la rinuncia a produrre mobili (Giorno e notte) che non siano quelli della cucina, ma la svolta strategica non ha arrestato la parabola della Berloni Spa che, stando al bilancio 2010, l'ultimo depositato, evidenzia perdite per 30,5 milioni (di cui 16,6 milioni per oneri straordinari). In tre anni le perdite accumulate arrivano a 47 milioni. I debiti verso banche e soci ammontano a 43 milioni e quelli verso i fornitori a 24,4.
La maxi perdita del 2010 ha eroso completamente il patrimonio netto, tanto che i soci (Marcello e Antonio Berloni) hanno dovuto urgentemente iniettare, a settembre, risorse fresche. Un segnale allarmante è poi il fatto che negli ultimi due anni si sono succeduti cinque amministratori delegati: l'ultimo in carica e il 74enne Marcello Berloni. Come uscire da questa situazione? La società preferisce non rispondere; i sindacati sono impotenti e si capisce: su 370 lavoratori 160 sono in Cig a zero ore; il resto, che lavora sulle linee delle cucine, è in Cig a rotazione. Gli stipendi arrivano a singhiozzo.
Un vero peccato per una delle icone dell'Italian life, insieme all'altra pesarese Scavolini (che nell'ultimo biennio ha generato 11 milioni di profitti): una storia imprenditoria iniziata negli anni 60 con il boom degli anni 90, quando si producevano più di 250 cucine al giorno.
«Vedremo se c'è il cavaliere bianco – osserva Fausto Vertenzi segretario di Fillea Cgil – e se prevarrà un fondo d'investimento o un privato. Di certo Berloni patisce la crisi ma anche la mancanza d'innovazione e di investimenti sul prodotto». Anche per Giovanni Giovannelli, segretario di Filca Cisl, «la gestione aziendale non è stata all'altezza della situazione. Per di più, dopo l'iniziale fiducia, le banche hanno tirato il freno e ora non ci resta che sperare in un partner che porti liquidità».
Dopo tante cattive notizie ne arriva una positiva per la reindustrializzazione delle Marche: ieri a Roma è stato firmato l'accordo dal ministro per lo Sviluppo economico, Corrado Passera, e dai presidenti delle Regioni Marche e Umbria, Gian Mario Spacca e Catiuscia Marini. Previsti 35 milioni a sostegno degli interventi di rilancio delle aree colpite dalla crisi di Antonio Merloni (elettrodomestici), che interessa alcune migliaia di lavoratori e un indotto di 12mila piccole imprese. Grazie all'accordo, un imprenditore potrà ricevere sull'investimento che crea occupazione un contributo a fondo perduto del 20%, un mutuo agevolato del 50% e una partecipazione al capitale del 5%.
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