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Questo articolo è stato pubblicato il 24 ottobre 2012 alle ore 06:49.
I lavoratori del call center Almaviva Contact di Roma via Lamaro bocciano l'ipotesi d'accordo sottoscritta la scorsa settimana da impresa e sindacati che assicurava un anno di cigs per riorganizzazione aziendale, predisponendo un percorso di formazione e riqualificazione degli addetti. Il referendum confermativo indetto lunedì scorso ha dato esito negativo e così, per i 632 dipendenti del sito romano, torna la prospettiva della cassa integrazione per cessazione attività avanzata per la prima volta a fine agosto scorso. Come dire: un piccolo caso Pomigliano all'incontrario. Se infatti il referendum sullo stabilimento campano di Fiat servì a superare il veto di una parte del sindacato su un piano di investimenti innovativo, stavolta è stato proprio il verdetto delle urne a ribaltare un'intesa con le parti sociali che non aveva precedenti. Il gruppo Almaviva - che fa capo alla famiglia Tripi, fattura 730 milioni e dà lavoro a 24mila persone - in ogni caso non ha alcuna intenzione di abbandonare lo Stivale: «Il gruppo - spiega l'ad Marco Tripi - grazie a mio padre è nato in Italia 30 anni fa e il suo cuore rimarrà sempre nel nostro Paese. Probabilmente siamo l'unica società al mondo che vieta la delocalizzazione al di fuori del territorio nazionale». Il tutto pur considerando «la presenza internazionale in Cina, in Tunisia e soprattutto in Brasile nonché l'esportazione del know how e dell'eccellenza tecnologica un'opportunità di sviluppo eccezionale».
Il rilancio del gruppo passa anche per la ricapitalizzazione, effettuata ad agosto scorso, per ben 47 milioni. A dispetto di un momento congiunturale e di un contesto di settore tutt'altro che favorevoli. «Con un grande senso di responsabilità - rivela Tripi - i soci di Almaviva, nonostante il mercato italiano in profonda recessione e i drammatici ritardi dei pagamenti della pa, hanno dimostrato di credere nel futuro dell'azienda e dei suoi lavoratori». L'aumento di capitale, prosegue l'amministratore delegato, «ha permesso anche un'importante operazione di finanziamento che ha coinvolto i maggiori istituti bancari presenti nel nostro Paese per circa 90 milioni. È un grande segnale per il futuro anche per il settore dell'information technology e il customer relationship management».
Come valuta però l'ad di Almaviva la bocciatura dell'intesa per il contact center romano scaturita dalle urne? «L'azienda - risponde Tripi - in questi ultimi otto anni ha investito circa 34 milioni nel sito di via Lamaro, in parte sostanziale per la copertura delle perdite del centro, nonostante continuasse ad avere livelli qualitativi e produttivi inferiori rispetto a quelli degli altri centri operanti in Italia e perdite sostanziali. Non possiamo che prendere atto - prosegue l'imprenditore - della decisione dei lavoratori. Evidentemente non hanno creduto nella sfida che azienda e sindacati volevano mettere alla base del rilancio del sito di Roma». Dopo quasi due mesi di trattative intense e dopo un'ipotesi d'accordo sottoscritta da tutte le rappresentanze sindacali, in linea con quanto previsto dal contratto nazionale delle telecomunicazioni, «non penso - prosegue Tripi - che ci siano altre ipotesi reali a cui pensare senza creare danni insostenibili per l'equilibrio economico finanziario del resto del gruppo. Mi dispiace profondamente non essere riuscito a proteggere quel nucleo di lavoratori che ha sempre fatto il proprio dovere. Faremo comunque uno sforzo - conclude Tripi - per una ricollocazione anche parziale di alcuni degli addetti».
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I NUMERI
730
Giro d'affari in milioni.
Il fatturato di Almaviva, gruppo di proprietà della famiglia Tripi primo player italiano nel mercato dell'Ict. Tra i segmenti presidiati It outsourcing, Business process management, Consulting & business intelligence e Customer relationship management
24mila
I lavoratori
Gli addetti italiani del gruppo Almaviva: il Sud conta 8.232 lavoratori, a Roma operano 4.489 persone mentre al Nord i dipendenti sono 2.136.
I dipendenti donna
sono ben 7.228