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Questo articolo è stato pubblicato il 25 ottobre 2012 alle ore 08:18.

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MILANO
Suona il de profundis per la proposta di regolamento europeo sul Made in sull'obbligo di tracciare le merci di provenienza extra-Ue, in gestazione da quasi un decennio. Una battaglia per l'etichetta capitanata dall'Italia e da quei Paesi del Sud Europa che puntano a salvaguardare i prodotti europei di qualità dalla concorrenza sleale delle merci d'importazione low cost prive di indicazione di origine.
Nella tarda serata di martedì scorso il dossier Made in è stato stralciato dalla Commissione europea, nonostante fosse stato già approvato dal Parlamento nel 2010 e sostenuto, fino a non molto tempo fa, dalla stessa Commissione. La motivazione del ritiro della proposta è particolarmente complessa, ci si appella a tre recenti sentenze del World trade organization che hanno considerato incompatibili con l'accordo sulle Barriere Tecniche (Tbt) alcune misure introdotte dagli Usa in materia di etichettatura di origine. Sulla scorta di queste sentenze, la Commissione Ue ha ritenuto che il quadro giuridico di riferimento multilaterale è mutato e, conseguentemente, l'etichettatura d'origine obbligatoria sui prodotti importati, a suo tempo ritenuta compatibile, oggi è considerata incerta ed anche la volontarietà dell'etichettatura e la possibile estensione del regolamento ai prodotti Ue sarebbero difficilmente praticabili per problemi relativi all'individuazione della base giuridica appropriata ed all'attuazione tecnica.
Lasciando il diritto, tornando ai fatti, il ritiro della proposta tocca prodotti che vanno dal tessile-abbigliamento, alle calzature, piastrelle e ceramica, prodotti in pelle e cuoio, gioielli, mobili per arredo, a cui si sono aggiunti anche rubinetteria e valvolame. Confindustria ha preso posizione. Le imprese dei singoli settori abbozzano una reazione, tramortite da un gesto inatteso. Silvio Albini, presidente di Milano Unica è in Cina, a Shanghai, con oltre un centinaio di colleghi imprenditori del tessile di alta gamma. Alla notizia, resta basito. Poi, a telefono, sbotta: «No. Non ora. Non ci voleva proprio. C'è bisogno di tracciabilità a maggior ragione quando andiamo a portare all'estero i nostri prodotti. I buyer qui vogliono avere la certezza che comprano vero made in Italy».
Roberto Snaidero, presidente di Federlegno Arredo, reagisce quasi d'impulso: «Questo è un pessimo risultato. Mi auguro che il nostro Governo faccia qualcosa, presto». Ancor più amaro il commento di Claudio Luti, numero uno di Kartell, presidente di Altagamma e, da lunedì, di Cosmit, la spa che organizza i Saloni del mobile a Milano e all'estero: «Ecco la prova, casomai ce ne fosse stato bisogno, di come, a differenza di altri colleghi europei, noi non siamo in grado di fare squadra nè lobby. Non è accettabile che per esportare prodotti in Cina si debba ricevere ispettori in azienda, mentre qui arriva praticamente di tutto».
Per Cristiana Muscardini, l'europarlamentare relatore della proposta «è ingiustificato che la Commissione non abbia ritenuto, anche in via informale, di confrontarsi con il Parlamento su questa decisione che penalizza i consumatori e i produttori europei, almeno per presentare una proposta alternativa. La Commissione ha il diritto di modificare la proposta ma esprimo seri dubbi sul suo diritto di ritirarla tout court dopo il voto praticamente unanime del Parlamento. Credo sia stato inferto un vulnus al sistema democratico europeo nel pieno di una grave crisi economica e del boom di merci contraffatte».
Appena due anni fa Muscardini, vicepresidente della commissione commercio internazionale, insieme ai colleghi Gianluca Susta (oggi del gruppo S&D) e Niccolò Rinaldi s'era battuta con le unghie e coi denti in Parlamento portando a casa, dopo sei anni di negoziato, a grande maggioranza (525 voti a favore, 49 contrari) il sì del Parlamento europeo. Plausibile, dunque, la reazione caustica di Susta: «È un grave errore perché contraddice i segnali di attenzione che l'Europa ha dato a favore del rilancio dell'industria manifatturiera. Ma, sia chiaro: la Commissione non è l'unica responsabile di questa amara decisione. La colpa è soprattutto del Consiglio, della maggioranza di blocco guidata da Germania e Gran Bretagna».
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