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Questo articolo è stato pubblicato il 31 ottobre 2012 alle ore 08:41.

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Una fase della lavorazione degli occhiali nello stabilimento della Luxottica di Agordo nel BelluneseUna fase della lavorazione degli occhiali nello stabilimento della Luxottica di Agordo nel Bellunese

AGORDO (BL). Dal nostro inviato
«Un anno corre il cane, quello dopo la lepre». Così si esprimevano gli antagonisti di Luxottica nella seconda metà degli anni '90, quando ancora i grandi nomi dell'occhialeria si contendevano il primato ad armi pari. Un macht senza esclusione di colpi: un anno prevaleva un'azienda, l'anno dopo un'altra. Sembrava che il mercato fosse infinito, così come il fascino delle griffe e la capacità di macinare utili. Alla fine, però, il cane allenato da Leonardo del Vecchio si è fatto anche lepre e ha staccato tutti. Una corsa solitaria e senza sosta, la corsa del numero uno al mondo. Un leader internazionalizzato, ramificato, con una rete di distribuzione che taglia trasversalmente i Continenti.

Nove mesi fa Luxottica ha comprato senza fare una smorfia la Tecnol (un'altra acquisizione è in vista, si veda articolo a pagina 30), la principale fabbrica brasiliana di occhiali che possiede la catena di distribuzione più capillare di quell'immenso Paese. Non che l'italianità di Luxottica sia venuta meno. Anzi. Agordo, un paese incastonato sulle Dolomiti che si raggiunge zigzagando tra immensi fiordi asfaltati, è ancora un paese-fabbrica che sforna centinaia di migliaia di occhiali al giorno (Luxottica non fornisce la produzione per singolo stabilimento) con 30 marchi diversi.

C'è anche la Cina, dove Del Vecchio, secondo uomo più ricco d'Italia dopo Michele Ferrero, il signor Nutella, di occhiali ne produce 26 milioni l'anno. Re Leonardo ci ha tenuto a restituire una quota della ricchezza aziendale ai suoi dipendenti, 7.500 in Italia e 3.500 ad Agordo. Questi ultimi occupano 82 mila metri quadrati rubati pietra dopo pietra alla frazione di Valcozzena: polizze malattie per i dipendenti, l'acquisto dei libri di testo per i loro figli pagati dall'azienda, così come le vacanze e le borse di studio. Un modello di stampo nordeuropeo che in Italia ha rarissimi emulatori.

Le altre 926 aziende italiane (con 16.150 dipendenti, di cui 12mila solo in provincia di Belluno) non stanno a guardare. Lo storico rivale, la Safilo, ora nelle mani di un fondo olandese, ha evitato in extremis un piano di ristrutturazione lacrime e sangue grazie alla pace sindacale raggiunta con la firma di un maxi piano di solidarietà.

Contraccolpi inevitabili della crisi, che ha portato a un'autentica morìa di terzisti, l'ammortizzatore economico che negli anni del boom ha contribuito in misura determinante alla competitività del distretto. Conferma Renato Sopracolle, vicepresidente del Sipao, la sezione dei produttori di occhiali di Confindustria Belluno: «Nel distretto c'è stata una sorta di polarizzazione – osserva –: pochi grandi e molte piccole aziende, soprattutto quelle che hanno scovato una nicchia nel fashion. I terzisti, che stavano in mezzo e spesso erano dipendenti dalla mono committenza, sono praticamente spariti».

All'Anfao, l'associazione che riunisce i produttori di occhiali, per bocca di Astrid Galimberti e Francesco Gili, sottolineano la crescita esponenziale dei volumi di export: «L'Italia esporta 90 milioni di occhiali l'anno». L'exploit nell'exploit lo ha fatto Ray-Ban, un marchio che da solo vende nel pianeta tra i 20 e i 25 milioni di paia d'occhiali ogni 12 mesi. Pensare che molti analisti sconsigliarono a Del Vecchio l'acquisto del marchio statunitense: «Come farà l'azienda di Agordo a guadagnare dove gli americani hanno perso una barca di soldi?», dicevano. La risposta l'ha data il mercato. Luxottica è presente in 130 Paesi al mondo. Un gigantismo che non ha annullato il dinamismo e la mobilità nel distretto, che si é rigenerato spontaneamente con la ricollocazione nelle aziende committenti di molti terzisti costretti a gettare la spugna. Una cooperazione verticale che dovrebbe fare scuola.

Il cambiamento si può riassumere con una battuta: chi non è arrivato al mercato con un suo marchio o una rete commerciale propria si è autocondannato. Sono stati anni duri, inframezzati da un dibattito asprissimo tra industriali e sindacato sulla propensione troppo spiccata a delocalizzare. Per fortuna, la voglia di tornare sta prevalendo su quella di espatriare. Lo spiega bene il presidente di Sipao, Lorraine Berton: «L'80% degli occhiali prodotti nel Nord-Est va all'estero. La qualità su un prodotto fashion e per di più marchiato made in Italy è fondamentale. Oggi i clienti preferiscono spendere di più ma avere un prodotto perfetto. Ecco perché si sta rivalutando la professionalità delle nostre lavoratrici. La Cina è quantità, l'Italia qualità. Qualità femminile, aggiungerei: nel Nord-Est due dipendenti su tre sono donne».

Di qui discendono una serie di azioni volte alla formazione di figure professionali sempre meglio attrezzate. Ci sono voluti tre anni affinché Roma autorizzasse l'avvio di un indirizzo meccanico e meccatronica, con l'opzione di tecnologia dell'occhiale, all'Istituto tecnico industriale di Belluno. «Sono i tempi del ministero», allarga le braccia la Berton. Le aziende hanno un passo diverso e tengono come un metronomo il tempo del mercato: tra i primi cinque grandi mondiali, a parte un'azienda americana, ci sono sempre Luxottica, Safilo, De Rigo, Marcolin (il cui controllo poche settimane fa è passato ai francesi di Pai partners), con un cameo rappresentato dalla Fedon di Pieve d'Alpago, che produce raffinatissimi astucci per occhiali e non a caso ha scelto di quotarsi alla borsa di Parigi.

L'export corre come un treno ad alta velocità soprattutto sui mercati emergenti: Brasile, Messico, Russia, Singapore e Cina hanno incrementato gli acquisti del 30 o 40 per cento. Oltre all' export, l'altra parola chiave è fashion, sempre più fashion: gli occhiali da vista o da sole sono un accessorio che per le misteriose traiettorie dei gusti e delle tendenze è diventato un tratto distintivo delle personalità di chi li indossa.

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